DECISIONE IRRESPONSABILE: RU486 PILLOLA PER L’ABORTO CHIMICO

   Luciano Bovicelli, ordinario di Clinica ginecologica ed ostetricia all’Università di Bologna, in Italia è stato il primo ad introdurre le tecniche di diagnosi ecografia delle malformazioni fetali, quelle amniocentesi precoci e villocentesi i cui risultati troppo spesso convincono le donne ad interrompere una gravidanza. Pur attestato su posizioni distanti dall’insegnamento della Chiesa in termini di vita nascente, si è sempre opposto alla introduzione della Ru486 in Italia.  E oggi è più contrario che mai.

   Professore, quali sono i motivi di tanta ostilità nei confronti della pillola abortiva?

 

 Partiamo con una precisazione: la Ru486 non è una pillola, sono quattro. Tre pillole di mifepristone vanno assunte il primo giorno, a distanza di poco tempo l’una dall’altra. La quarta, la prostaglandina, dopo tre giorni.

   Quattro giorni di aborto…

   Esatto. Non c’è nessuna pillola che mandi giù e in un attimo il problema è risolto, nessuna magia, nessun trauma evitato. E’ gravissimo che le donne vengano illuse su questo. E poi c’è la questione di cosa succede davvero.

   Già: cosa succede?

   Al suo arrivo in ospedale, la donna che voglia abortire con la Ru486 è sottoposta ad un’accurata ecografia, per stabilire l’età gestazionale del feto: perché l’aborto chimico abbia effetto, che deve essere al di sotto delle 7 settimane. Quindi la paziente inghiottirà tre pillole, che uccideranno il suo bambino, che ha appena visto nelle immagini dell’ecografia. Dopo di che, serviranno tre terribili giorni.

   In che senso terribili?

   Quello che la Ru486 non è l’aborto chirurgico, che in due o tre minuti a massimo – con la paziente sotto anestesia- si completa. Qui la donna attraversa il travaglio abortivo: sente dolori alla pancia, ha emorragie, anche di forte intensità. Una vita si spegne dentro di lei nello spazio di tre giorni. Ed è uno spazio drammaticamente ampio.

   E poi?

   E poi arriva la quarta pillola, quella che dovrebbe portare all’espulsione del feto morto e che causa le contrazioni dell’utero. Il problema è che non si sa in quanto tempo farà effetto: nessuno lo sa, e non lo sappiamo nemmeno noi medici!

 

La verità è che l’aborto chimico è una procedura talmente complessa e imprevedibile che neanche in ospedale si sa come trattarla… Terremo le donne in un letto quattro giorni? E se, come spesso accade, l’aborto non si esaurisse in quattro giorni?

Aspetteremo quanto prima di intervenire chirurgicamente con il raschiamento? Quanto tratterremo la donna in ospedale?

   Che fare, dunque?

   Assolutamente non percorrere questa strada, e mi rivolgo soprattutto alle donne, che sono le vere vittime di questa decisione.

   In che senso?

   Vittime perché lasciate sole nell’affrontare il dramma di un’interruzione di gravidanza di cui diventano le esecutrici materiali. Vittime perché questa pillola ha ucciso decine di volte, e nessuno ha ancora fatto chiarezza su quelle morti. E vittime, soprattutto, perché ingannate. Convinte che esista un modo innocuo per liberarsi di quella patologia che oggi viene considerata una gravidanza. Tanto da fingere che possa essere affogata in un bicchiere d’acqua…

 

 

 

                                                                                                                                            Dr. Sorella Laura D’Aprile