Meditiamo

 

 


insieme

 

 

                                  

 

Contemplare la divinità nel Nome di Gesù:

“Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore  e perfezionatore della fede” (Eb 12,1-2)

Questa Parola ci invita a mettere i nostri passi sulla via retta camminando con i mezzi che Dio ci ha dato per liberarci dalle passioni e dalle attrazioni mondane: la Legge, cioè i Comandamenti, e i Sacramenti. Soprattutto, però, dobbiamo camminare seguendo la via che conduce Dio agli uomini e gli uomini a Dio.

 

 Questa via è l’Umanità di Gesù: “Io sono la Via” e “Chi vede Me vede il Padre”. Quindi, le vie della Chiesa sono le vie dell’Umanità di Cristo, che conducono a contemplare in Lui la Divinità, e la via dell’umanità che conduce a contemplare la Divinità nell’uomo, in ogni uomo. Certo, in questo “passaggio” occorre la fede, perché solo la fede ci permette di contemplare la presenza di Dio in mezzo agli uomini.

 In questa ricerca del Volto di Dio nell’uomo, un passaggio nella fede che dobbiamo considerare è la ricerca del Nome della Divinità. Negli Atti degli Apostoli, per esempio, si parla spesso del Nome di Gesù. Quindi, c’è un passaggio dalla visione del Volto di Dio all’invocazione del Suo Nome, come è avvenuto anche nell’Antico Testamento, quando a Mosè che ricercava il Volto di Dio fu detto: “Proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te (Es 33,19) ma  “Tu non vedrai il mio Volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,20). Collocato nel cavo di una roccia, Mosè avrebbe visto solo le spalle di Dio, cioè solo gli effetti della Sua gloria (cfr Es 33,22-23). Gli fu negata la visione mentre gli fu rivelato il Nome della Divinità: “Io sono Colui che Sono”(Es 3,13).

Anche Gesù è passato in mezzo a noi ma ne vediamo per così dire le “spalle”, il passaggio della sua gloria. S. Paolo stesso dirà: “Se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così”, ora possiamo vederlo e conoscerlo nella dimensione della fede. C’è un passaggio dalla presenza fisica di Gesù all’invocazione del Suo Nome: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra”; nel Nome di Gesù Pietro e Giovanni fecero alzare e camminare il paralitico storpio all’ingresso del tempio; non vi è altro Nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo salvarci. E ancora: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome là sono anch’io in mezzo a loro”. Il Nome di Gesù indica una presenza, come quella antico-testamentaria di Jahvè.

 

       Infatti, Gesù significa “Jahvè nostra salvezza”. Con il segno della croce invochiamo la Presenza Trinitaria: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, una presenza personale delle Tre Persone. Questa realtà ci è stata data dal Signore stesso quando dice: “Andate e ammaestrate tutte le genti battezzandole nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. L’invocazione di questo Nome rende presenti le tre Persone e il battesimo ricevuto in questo Nome realizza l’inabitazione in noi della Trinità.

Nel considerare la Presenza di Dio in mezzo a noi c’è da valutare un altro “passaggio” ed è quello che avviene nell’Eucarestia: qui, da una presenza spirituale che si realizza quando siamo riuniti nel Suo Nome, si passa ad una presenza reale, fisica. Il Nome di Gesù s’identifica nel Pane e nel Vino consacrati e noi tocchiamo realmente il Corpo di Cristo, beviamo il Suo Sangue. L’Eucarestia è un’invocazione alla sua reale Presenza, una Presenza non solo spirituale ma incarnata: “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Questa presenza non sostituisce ma supera quello nello Spirito, anche se questa Presenza eucaristica si realizza comunque ad opera dello Spirito: è lo Spirito Santo che rende vivo quel pane e quel vino trasformandoli in Carne e Sangue di Cristo. “E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”, dirà Gesù. Ma questa presenza di Cristo nell’Eucarestia supera quella spirituale perché ci inserisce nel mistero della sua Passione: quel Corpo e quel Sangue sono un Corpo e un Sangue donato per noi e per la nostra salvezza. In questo modo il mistero della sua Morte, Passione e Resurrezione entra nella nostra vita, nel nostro presente, nel nostro quotidiano. Se da una parte possiamo captare la presenza spirituale di Cristo ovunque, come succede per esempio con le onde della radio, nell’Eucarestia c’è una comunicazione totale del Cristo incarnato che qui ed ora ci unisce al Mistero della sua donazione.

             

  E noi come pecorelle ci raduniamo intorno al nostro Pastore, al nostro Salvatore presente nel mistero eucaristico ed invochiamo qui ed ora la sua grazia per i nostri bisogni e le nostre necessità. Soprattutto, gli chiediamo la grazia di vivere da autentici cristiani, persone che vivono nel Suo Nome, ossia, che rendono attuale e viva la sua Presenza. Perché cristiani, quel nome usato per la prima volta ad Antiochia per designare i seguaci di Cristo, significa portatori di Cristo. E si porta solo se s’incarna!

Incarnare Cristo, lo sappiamo, significa vivere come Lui è vissuto, vivere amando “come Io ho amato voi”, un Amore puro e disinteressato, che non ha preteso dagli altri ma ha donato agli altri con umiltà e nel servizio.

                                                                          Padre Giuseppe