Meditiamo insieme
Mane Nobiscum Domine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


  Mi sembra di cogliere tre punti fondamentali nella lettera per l’anno eucaristico 2004-2005 “Mane Nobiscum Domine” di Giovanni Paolo II. Il primo penso sia quello del dono: il Signore che si dona, che va incontro alla persona; il secondo quello della risposta amorosa a questo dono, l’accoglienza della presenza e della chiamata del Signore; il terzo punto la missione, il mandato.

In particolare si mette in risalto che il dono è Dio che viene a noi nell’Eucarestia, si chiede un atteggiamento di accoglienza, saper portare, cioè in sé le ragioni e le radici del dono per poi andare incontro agli altri e portare loro il dono della salvezza.

 

Nell’Eucarestia possiamo scorgere un’infinità di significati, però già dal nome stesso, azione di ringraziamento, si coglie lo sviluppo di un continuo dire grazie a Dio per quello che siamo, per quello che Lui è, che ci dà, per ogni aspetto della vita. E’un mettersi nelle sue mani, un abbandonarsi fiducioso per lasciarsi prendere, afferrare, cogliere da Dio. Quindi la prima cosa da fare è quella di renderci conto che abbiamo da ringraziare il Signore. Se partecipiamo all’Eucarestia come si va ad un distributore di grazie, si sbaglia: bisogna andarvi con l’intenzione di ringraziare. Non che sia sbagliato chiedere, però non è l’atteggiamento prioritario. Occorre dire innanzitutto grazie, perché se non ci si rende conto di quello che si è ricevuto, di quello che si è e che si ha, anche in rapporto a chi ha avuto meno, si è sempre insoddisfatti. Dobbiamo pur cominciare a riconoscere e a ringraziare, anziché essere come quei bambini egoisti che vogliono stare sempre al centro dell’attenzione, che vogliono tutto per sé.

Il primo passo, dunque, è guardarsi dentro, vedere quanto bene abbiamo ricevuto, ringraziare e gioire di tutti i benefici che abbiamo. La Chiesa ci fa dire: “Ti adoro, mio Dio,… Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, e conservato in questo giorno (notte)”, e durante la Messa ci fa spesso recitare le cosiddette “Quattro Tempora”.

Il secondo momento è la ricezione del dono: “grazie per tutti i doni, ma soprattutto per avermi dato tuo Figlio Gesù!” Il grazie che non ha confronti, è per il dono sublime, grandissimo che Egli ci ha lasciato nel suo Corpo e nel suo Sangue. Come andare incontro a questa Eucaristia, che richiede tanta fede? Il Signore ci ha dato delle facoltà.

La facoltà dell’immaginazione è una delle più interessanti: l’azione dell’immagine è molto forte in noi. Il Volto di Cristo non deve però scaturire da una conoscenza secondo la carne, come dice San Paolo, cioè da una fisionomia umana, anche se Egli è il più bello tra i figli dell’uomo e lascia incantato tutto il Paradiso per la sua bellezza e per la sua infinita trasparenza di meraviglia, di incanto, di luce. L’immagine del Cristo che devo raggiungere deve scaturire dal Vangelo: la sua bontà, la sua tenerezza, la sua compassione, il suo chinarsi sui poveri, sui deboli, la sua misericordia, la sua delicatezza, la sua gioia con i piccoli, la sua propensione a sollevare e a curare quelli che sono nell’affanno, che sono nel dolore, la sua carezza per le madri, per i piccoli, e anche la sua autorità non nei confronti dei peccatori ma dell’ipocrisia, della superficialità, della frivolezza, di coloro che deridono le cose serie e fanno serie le cose ridicole. Il Volto amabile del Cristo che traspare anche da quello di Maria: se in modo particolare il maschietto somiglia alla madre mentre la femminuccia al padre, dobbiamo dire che nel Volto di Gesù si riconoscono i tratti di Maria, l’umile ancella del Signore. E il Papa ci ha ricordato un tratto saliente dell’Eucarestia: il servizio.

 

Nel suo Vangelo, Giovanni, pur accennando al fatto che Gesù, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine, cioè fino a dare Se stesso, rimane sconcertato quando Gesù nell’ultima cena si cinge di un asciugatoio e lava i piedi ai suoi apostoli, e riporta quelle parole: “Chi è più grande, chi siede a mensa o chi serve? Ebbene, disse Gesù, Io sono in mezzo a voi come Uno che serve”. Atteggiamento di servizio, di umiltà, che la creatura non accetta. Non accettò questo lo stesso Lucifero il quale disse “non serviam” di fronte all’idea di dover adorare un Dio Bambino. E la stessa cosa, anche se in maniera bonaria, disse San Pietro che ogni tanto ci teneva a farsi rimproverare dal Signore: “No, Signore, Tu non mi laverai mai i piedi!” Disse il Signore: “Se non ti lavo non avrai parte con Me”. A quel punto S. Pietro, disarmato di fronte alla salvezza, esclama: “Non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo!” (Gv 13,8).

Queste considerazioni stanno ancora a sottolineare la necessità di accogliere con profonda umiltà il Signore che si dona ed immaginare il suo volto non solo come quello del più bello tra i figli dell’uomo, ma anche come quello di ognuno dei figli dell’uomo. Quindi non ci può essere un volto nemico, una persona che sia in contraddizione con la comunione che noi vogliamo fare con Gesù, perché a quel punto Gesù assume il volto di colui con cui non si vuol fare comunione. Se si accetta Gesù, bisogna accettare anche quelli che Gesù ama: si è costretti, come dice il Papa, a non fare gli aguzzini, ma i martiri, per cui anche quelli che crocifiggono devono diventare oggetto del nostro amore. Accoglienza dunque del grande dono che è Gesù, e in Lui accoglienza di ogni uomo, anche se nemico. Gesù è chiaro a questo proposito: se non accogliamo il fratello, non accogliamo neanche Lui! (cfr. Mt 25,31-46). Allora non abbiamo scampo: siamo costretti ad amare per amore dell’Amore! C’è un detto che dice “all’amor non si comanda”, ma siccome Dio è l’Amore, ha tutto il diritto di comandare, perciò all’Amore si ubbidisce solamente!E in Lui sei costretto ad amare tutti, anche gli antipatici, anche quelli che ti fanno soffrire, gemere.

 

E’ volontà di Dio che si ami anche i nemici, perché altrimenti, se si amano solamente quelli che ci amano, che merito abbiamo, non fanno così anche i pagani? Dunque accoglienza del dono meraviglioso che è Dio, ma anche accoglienza di ogni fratello che viene alla luce, perché ogni vita è un dono e va accolta come ha fatto Maria, che ha accettato la vita dalla nascita fino alla morte. La troviamo esaltata quando ha nel grembo il figlio, e la troviamo esaltata quando sta sotto la croce, “ora e nell’ora della nostra morte”. Quindi è Madre all’inizio e alla fine, accoglie questo Figlio dall’inizio alla fine. E così anche noi dobbiamo accogliere ogni vita dall’inizio alla fine.

   Infine, la missione: “ecco, manda me!”, l’Eucarestia fonte e culmine della vita ecclesiale. A questa siamo inviati anche noi, come Maria che Dio chiama, riempie di Spirito Santo, d’Amore, e a cui dà la missione universale, sotto la croce, di partorire i suoi figli nel dolore. Allora l’Eucarestia diventa una moltiplicazione di eucaristie. L’Eucarestia ricevuta singolarmente deve diventare, a detta del Papa, moltiplicazione di Eucaristia, e ognuno di noi deve portare questa Eucaristia fuori, ossia portare agli altri questa azione di ringraziamento, di accoglienza, di condivisione. Come? Attraverso il convivio: portare l’Eucarestia nelle famiglie, nella comunione fraterna di un santo convivio.

 

Far sì che le famiglie stiano insieme, spezzando il pane dell’amicizia e della solidarietà, conducendole anche a quel convivio a cui Gesù le ha portate, e vuol portare tutti: mangiare e bere insieme, passare dalla Cena del Signore alla cena dove i commensali sono anche le famiglie, dove i commensali, dopo la Celebrazione eucaristica, nelle famiglie cenano tutti insieme riuniti, dove si spezza il pane dell’amore e dell’amicizia, dove si mangia insieme, dove si fa cenacolo insieme, che è l’aspetto più intimo della fraternità, che è l’aspetto più decisivo dello stare insieme. Questo aspetto va evidenziato anche come segno: il convivio fraterno come sacramentale dell’Eucarestia. Questa Cena del Signore, dove Egli si dà con il suo Corpo, con il suo Sangue, con tutto Se stesso, e dove “chi non mangia il mio Corpo e non beve il mio Sangue, non avrà la vita eterna”, è qualcosa di infinitamente superiore al cibo che perisce, perché ci è dato il comando di cercare non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna (Gv 6), e di imparare a distinguere, perché, come dice S. Paolo, se non capisci che questo è il Corpo e il Sangue di Cristo, tu sei reo verso il Corpo e il Sangue di Cristo.

 

Gli aspetti fondamentali dell’Eucarestia evidenziati dal Papa sono dunque quelli nella direzione del dono eucaristico, della risposta a questo dono e, terzo momento, della moltiplicazione eucaristica: tu ti devi fare a tua volta missionario/a, diventare eucaristia per gli altri, vale a dire diventare anche pane per gli altri, procurare di fare anche tu la frazione del pane, di spezzare anche tu il tuo pane con il povero, con il debole, con il misero, spezzare il tuo tempo, fare volontariato, spezzare le tue risorse.

Padre Giuseppe