VIVERE NEL MONDO COME VERI ADORATORI DI DIO

(Colonia, Giornata mondiale della gioventù, 19 agosto 2005)

 

 

 
 

 

 

 

 

 


Catechesi tenuta da Mons. Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza, ai giovani dell’arcidiocesi di Milano durante la GMG a Colonia. Pubblichiamo la parte riguardante la “sequela Christi”.

"Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2, 12).

 

 

 

 

I falsi idoli del nostro tempo sono tanti e si impongono in modi forti e coinvolgenti. L’inganno che in genere propongono è affascinante: diventare più liberi e poter decidere di sé come meglio piace. In realtà, seguendoli si diventa sempre più succubi e schiavi e ci si lega al loro potere, che, a poco a poco, diventa come una droga, impossibile da dominare o distruggere. L’idolatria è una schiavitù che si traduce in costume di vita e governa i propri sentimenti e le proprie azioni.

            L’uomo non può fare a meno di adorare Dio, magari un suo dio costruito, come il vitello d’oro dell’Esodo (cap. 32) a proprio uso e consumo. C’è chi erige a dio il sesso e se ne lascia sedurre e conquistare diventandone servo fino alle più estreme conseguenze; chi il denaro e la ricchezza di beni materiali; chi il potere e il primato sugli altri. […]

           

           

2. Quali sono le scelte coraggiose di testimonianza del Dio vero nel nostro ambiente di vita?

 

            I Magi ce ne indicano subito una molto importante: "per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2, 12).

            Questo cambiare strada indica la conversione che chiunque incontra Gesù è  invitato a compiere. Convertirsi non è questione di un momento, ma di una vita. Sempre siamo in via di conversione. Ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio essa ci svela ombre e luci della nostra vita e ci sprona affinché abbiamo il coraggio di tagliare ciò che va tagliato, egoismi, idolatrie, chiusure in se stessi, scarso amore verso gli altri, e di vincere il male con il bene. La Parola è come lampada che guida i nostri passi verso il Signore in un cammino spesso tenebroso ma segnato dalla fiducia in lui. Convertirsi significa anche lottare con coraggio contro le opere della carne, che impediscono allo Spirito di fruttificare in noi. Infatti, l’uomo vecchio con le sue passioni ingannatrici tende sempre a risorgere e a riconquistarci, ma lo Spirito, che viene in aiuto della nostra debolezza, ci sostiene per risultare vincitori.

            Il giovane ricco, che non ha il coraggio di lasciare le proprie ricchezze, mostra di non volersi convertire, perché è troppo legato alle sue sicurezze e non si fida di Cristo, malgrado abbia ricevuto da lui segni forti di amore. Desidererebbe tenere i suoi soldi e avere la vita eterna: Dio e il denaro. Ma non si può servire due padroni (cfr. Mt 6, 24).

            Convertirsi significa anche seguire positivamente Gesù ed imitarlo: "Come ho fatto io fate anche voi". La sequela è certamente l’aspetto più coinvolgente della fede: come i Magi si sono fidati della stella e l’hanno seguita fino a Betlemme, così ogni credente deve fidarsi di Cristo e seguirlo senza timore. Lui è la via, la verità e la vita piena per ogni uomo (cfr. Gv 14, 6).

            "Vieni e seguimi": questa parola risuona anche oggi in molti di noi come è risuonata nel cuore dei primi discepoli. Per seguire il Signore bisogna alzarsi e andare dietro a lui; non bisogna voltarsi indietro, nostalgici di quello che abbiamo lasciato, perché chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro, dice Gesù, non è degno di me (cfr. Lc 9, 62). Certo, le condizioni della sequela non sono facili, ma impegnative e a volte anche dolorose. Gesù non promette a chi lo segue ricchezza, potere, soddisfazione e beni materiali, carriera e riuscita nella vita. Al contrario, indica la via della croce, del perdono, della povertà più radicale, della purezza e della lotta per la giustizia. E’ deciso nelle sue richieste: "Se vuoi essere mio discepolo, va' vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Chi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me.... Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (cfr. Mt 13.19).

Trovare Cristo significa trovare il tesoro più prezioso, la perla più ricca per cui vale la pena vendere tutto, rinunciare ad ogni altra cosa al mondo per possederla. Nei vangeli il discepolato e le condizioni per seguire Gesù rappresentano una delle catechesi più presenti e concrete con cui si misura la nostra vita. E sono sempre condizioni che riguardano tutti i cristiani, non solo alcuni prediletti.

 

            Ascoltiamo queste famose parole, profonde e cariche di amore appassionato per Dio, di una grande santa, Teresa di Avila, la quale dice:

 

Nulla ti turbi, nulla ti spaventi.

Tutto passa, Dio non cambia.

 

Chi ha Dio non manca di nulla.

Dio solo  basta.

 

Mi direte: "Teresa era una monaca ed è normale che parlasse così!". Io vi dico che questa esperienza è possibile anche a ciascuno di voi. Dio si comunica ad ognuno così. Tocca a noi saperlo accogliere con la stessa intensità di amore di santa Teresa.

            La via della sequela diviene possibile e quotidiana, se osserviamo una regola di vita semplicissima: imitare Gesù. Poiché lui è uomo come noi, la sua umanità ci è di esempio circa la possibilità di vivere anche noi la nostra umanità nei suoi vari aspetti ogni giorno.

            "Come ho fatto io, fate anche voi": come si comporterebbe Gesù se fosse al mio posto? Proviamo ad applicare questa regola ad ogni nostra azione e scelta di comportamento e vedremo quanto diventa fattibile l’imitazione di Cristo,  almeno come programma e obiettivo da perseguire. Così Cristo diviene il nostro maestro e la nostra via. Egli, lo sappiamo, non sta solo davanti a noi, come un modello, ma è anche dentro di noi con il suo Spirito e questo rende possibile imitarlo veramente, perché lo Spirito ci trasforma in lui. San Paolo arrivò a dire: "Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me" (Gal 2, 20). E ancora: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1, 21).

            Più uno si immette in questa prospettiva di sequela-imitazione e più gli si aprono davanti orizzonti grandi di impostazione di vita. Per me è stato così. Quando frequentavo la scuola superiore, ho meditato a lungo su questo tema e ho cominciato a sentire dentro di me il desiderio di orientare la mia vita sulla via del sacerdozio.

            A volte si sente dire che la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata nasce dal desiderio di dedicarsi agli altri, ai poveri, ai più bisognosi. E questo è certamente vero, perché donare la vita per gli altri fa parte delle vocazioni di speciale consacrazione. Io penso però che la radice e la motivazione vera di una vocazione non stia fuori di noi, non stia nel fare ma nell’essere, stia cioè dentro di noi. Essa sta nell’amore di Cristo che  fa risuonare la sua chiamata dentro il cuore dell'uomo, lo vuole, lo interpella. Rispondere significa fare un patto d’amore, innamorarsi e decidere di cementare tale patto con il sì di fedeltà  a Cristo. Egli, infatti,  vuole che la vita dell'uomo diventi una cosa sola con la sua e così si offra agli altri in pienezza di amore come ha fatto lui.

            "Li chiamò perché stessero con lui…e per mandarli a predicare": così la chiamata dei Dodici sottolinea questo discorso in modo evidente. La chiamata di Cristo è sempre per la felicità e la vita, come sottolinea Gesù stesso nel Vangelo rivolgendosi al giovane ricco: "Se vuoi essere felice e avere la vita eterna, seguimi" (cfr. Mc 10).

            Anche qui voglio dirvi che chi risponde alla chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata non lo fa rinunciando a qualcosa o a qualcuno, ma lo fa per acquistare qualcosa e qualcuno. E’ per amore di Cristo e dei fratelli che ci si fa preti o suore. La rinuncia ai beni della terra o a farsi una famiglia  non è in primo piano, ma segue di conseguenza l’altra scelta d’amore totale per Cristo. "Se mi ami devi darmi tutto di te stesso e di te stessa" dice Cristo e questo diviene lo scopo primo della vocazione da cui scaturisce poi la forza di rendere unico ed assoluto tale amore, accogliendo in esso non una persona soltanto, ma tutte le persone; non un gruppo, una famiglia, una comunità, ma tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra, se necessario. Questa totalità d’amore sta a fondamento del "per sempre" che il chiamato o la chiamata pronunciano davanti a Dio e alla Chiesa. Cosa del resto propria di ogni vocazione, a cominciare dalla vocazione battesimale dove il a Cristo conferma un patto di alleanza che nulla potrà mai distruggere per arrivare al matrimonio, al definitivo ed indissolubile che pronunciano gli sposi.