Casella di testo: RELAZIONE DEL DOTTOR JANNUZZI
( III PARTE )
 

La giornata di un bambino oggi

Che cosa fa un bambino di oggi? Si sveglia al mattino, viene posizionato davanti al televisore, si guarda il suo bravo cartone animato, mangia in velocità, arriva a scuola dove incontra programmi scolastici, rispetto, regole, imposizioni, insegnanti presi dal programma scolastico o che lo posizionano davanti a un computer per apprendere storia e geografia. Torna a casa, mangia in velocità, viene depositato in una scuola di ballo o di inglese, dove c’è un adulto che lo gestisce, che lo coordina.

I genitori, che dovrebbero essere le persone preposte all’educazione dei propri figli, demandano ad altri tale compito, e non me ne vogliano le baby-sitter, ma spesso si affida il proprio figlio ad una ragazzina quindicenne, che probabilmente non è riuscita negli studi, non ha trovato una sua collocazione lavorativa, che cosa potrà trasferire al nostro bambino? Soltanto esperienze frustranti, soltanto assenza di comprensione dei problemi del bambino, soltanto assenza di soddisfazione dei suoi bisogni.  A sera finalmente rientrano i genitori, che sono chiaramente stressati dalla loro giornata lavorativa, e prima di andare a letto offrono al piccolo un altro po’ di computer, internet, la televisione. Una giornata stressante come questa determina sicuramente il depauperamento di quelle sostanze neuro-trasmettitrici delle quali abbiamo parlato (vedi bollettino precedente), ma soprattutto allontana il bambino da quella che è la vita reale! Un bambino ha bisogno di esperienze reali, di fare giochi autonomi: un gioco in cui utilizza la sedia o il tavolo per costruire una torre o realizzare un edificio; ha bisogno di sporcarsi le mani, di strappare l’erba, di raccogliere i fiori, i frutti da un albero. Gli abusi sessuali perpetrati sui minori si spiegano con il fatto che l’approccio alla sessualità non è più mediato dall’adulto, il bambino va su internet o vede la televisione, non ha più un’esperienza reale, quello che ha visto in tv o che ha appreso da internet lo trasferisce nella sua vita, ed ecco che viene fuori il dramma, l’abuso.

Tutto questo accade perché si è sventrato il nucleo fondamentale della nostra società, perché non esiste più la famiglia, esiste un’organizzazione industriale che serve al massimo per comprare lo zaino, la cioccolata, per pagare la scuola di ballo, la play station, internet, qualcosa che viene chiamata virtualizzazione, cioè il bambino vive in un mondo virtuale, che non è fatto di dati concreti, di gestione delle emozioni. Prendiamo per esempio l’innamoramento: l’innamoramento è fatto di contatti, di sguardi, di carezze. Oggi i ragazzi hanno difficoltà a comunicare, a gestire le proprie emozioni, perché oggi comunichiamo attraverso il virtuale. Quando poi i ragazzi si trovano a contatto con il mondo reale,  fanno il disturbo mentale, perché vivendo in un mondo virtuale e trovandosi nel reale trasecolano. Ricordo una bambina che è rimasta letteralmente trasecolata, quando ha visto il latte sgorgare dalla mammella di una mucca, perché riteneva che il latte fosse un prodotto del supermercato! I bambini hanno perso il contatto con il mondo reale. I genitori stessi purtroppo fanno parte di questo sistema stressante. Tra i fattori che possono determinare una depressione nel bambino vi è il lavoro di tipo femminile. Perché? C’è un periodo di alta sensibilità per il nostro bambino che sono i primi tre anni di vita.

Il bambino in quei tre anni ha bisogno del latte, dell’acqua, dei giochi, ma ha un bisogno indispensabile, che è quello della madre! Le madri assolutamente non possono essere assenti nella vita dei bambini! La depressione è riconducibile proprio a questa assenza materna! Molte madri dicono di essere presenti, ma in realtà lo sono a pranzo, a cena, al parco giochi. La vita di un bambino è fatta di un rapporto che è fatto di almeno 12 ore al giorno, perché il bambino non concentra i suoi problemi nell’ora di pranzo, di cena, o della passeggiata: il bambino va osservato, va visto come si relaziona, bisogna coglierne i bisogni, e questo è possibile soltanto se la madre trascorre l’intera giornata con il bambino. Una delle cose che in questo nostro Paese andrebbe fatta è quella di garantire almeno per i primi tre anni del bambino la presenza costante della madre, perché laddove non garantiremo alle madri questa opportunità, investiremo in spese sanitarie! Il lavoro femminile è dunque una condizione che, soprattutto nei primi tre anni di vita, apre la strada alla depressione nel bambino. Ma il problema della depressione infantile è anche legato all’habitat urbano che è fatto in funzione delle esigenze degli adulti. La progettazione dello spazio urbano viene fatta in funzione degli esercizi commerciali, delle industrie, degli artigiani: abbiamo la zona industriale, la zona storica, la zona commerciale, la zona turistica, ma in questo spezzettamento dello spazio urbano abbiamo immaginato di creare degli spazi funzionali per i bambini? Lo spazio urbano diventa un fattore importante perché i bambini hanno bisogno di vivere l’ambiente nel quale vivono.

 I bambini oggi, con quella organizzazione di vita cui ho accennato, non hanno la possibilità di toccare le cose che stanno nella loro città, di soffermarsi a vederle, di giocare nelle vie e nelle piazze, perché sono insicure e allora le madri sono molto più tranquille se prendono i propri figli e li vanno a chiudere in un doposcuola o in una palestra o in una ludoteca, pensando di tutelarli, li vanno a mettere in una condizione di artificialità. Stiamo costruendo degli esseri umani artificiali, completamente scollati dal mondo nel quale vivono. Accanto allo spazio commerciale dobbiamo creare uno spazio per i nostri bambini, degli spazi verdi, dove si possono raccogliere, dove possono giocare. L’habitat urbano, la nostra organizzazione della vita, la necessità di lavorare per rispondere ai bisogni indotti, producono, di fatto, le malattie mentali dei nostri bambini. Il comportamento dei genitori super impegnati non incrocia certamente le esigenze del bambino e questo è suggestivo per lo sviluppo di una condizione depressiva del bambino, ma molto spesso i problemi dei bambini sono problemi degli adulti, per questo è necessario correre ai ripari a partire dalla famiglia.                                   

 

  (dalla sbobinazione “Convegno delle Famiglie” del 25/04/2009)