Quando
si parla di depressione infanto-adolescenziale spesso si coglie in giro una
condizione di incredulità, e quando si parla di ragazzi, sovente si pensa a
persone che o sono maltrattate, abusate o, al contrario, che vivono una
condizione di felicità. E questo è un concetto che va cristallizzandosi nella
pubblica opinione: o il bambino è maltrattato e drammaticamente seviziato,
oppure il bambino è felice. Questa è un po’ l'idea che tutti quanti hanno dei
bambini e dei ragazzi, ed è quello che l'attività mediatica va diffondendo
nelle nostre coscienze e nel nostro immaginario. In realtà le cose non
stanno così, perché c'è un male sempre più evidente, sempre più valutato
clinicamente, che è quello della depressione infantile.
La
depressione si sviluppa nei primi anni di vita, anche se per lungo tempo si è
sostenuta una negazione di questa affezione, in età evolutiva. Il bambino
depresso è stato per lungo tempo negato. Anche la comunità scientifica,
rispetto all'idea di una affezione che si chiama depressione infantile, per
lungo tempo è stata divisa. Fortunatamente, il progredire degli studi ha
permesso di dimostrare che la situazione non è questa, e che, al contrario, con
questo tipo di disagio noi ci dobbiamo confrontare. Un caposaldo nella storia
di questa patologia è rappresentato dagli studi di Madeleine Klein, la quale
non solo ha potuto dimostrare l'esistenza della depressione in età evolutiva,
ma ha stabilito due fatti importanti, e cioè che la depressione rappresenta una
tappa fisiologica dello sviluppo, e che
ciascuno di noi,
almeno una volta nella vita, vive una condizione depressiva, a partire dal
momento in cui si percepisce la madre, “l'oggetto buono” del bambino.
Questo accade
nel primo anno di vita, quando il bambino vive un rapporto simbiotico con la
madre: la madre è la dispensatrice di affetto e di coccole, la madre è colei
che soddisfa le esigenze fisiologiche del bambino, che lo accudisce, che lo
alimenta, che lo disseta. Nel momento in cui il bambino percepisce la madre
anche come il soggetto delle regole e delle negazioni, ha una reazione
depressiva, cioè il bambino capisce che la madre non è soltanto un “soggetto
buono”, ma può essere anche un “soggetto cattivo”, cioè può essere anche un
soggetto che produce verso il bimbo delle negazioni. In questo preciso momento
il bambino praticamente ha una reazione depressiva. Quindi tutti quanti, almeno
una volta nella vita, siamo stati depressi. Da che cosa questa ferita che si
viene a determinare nel bambino può essere superata?
Da una condizione di
accudimento materno e di vicinanza al bambino, là dove questa condizione si
genera, di modalità e di comportamenti che riescono a far percepire al bambino
la necessità di regole, la necessità anche di negazioni, e non soltanto di
accudimenti e di coccole. E quando, oggi sempre più frequentemente, la madre
non ha il tempo e la condizione per poter favorire il superamento di questa
lesione che si determina nella psiche del bambino nel primo anno di vita, che
cosa accade? Rimane una cicatrice, rimane un nucleo depressivo che,
apparentemente, risulta compresso e superato, ma che nelle epoche della vita
successiva si riattiverà e andrà a configurare quella che è la condizione a cui
accennavamo, cioè la depressione del bambino.
E nel momento in cui si verificano eventi negativi nella vita del bambino, questo nucleo depressivo legato al mancato lavoro di superamento che la madre avrebbe dovuto compiere, verosimilmente riattiva il nucleo depressivo, e compare la depressione in senso stretto. E quando noi sentiamo parlare di depressi adulti o di depressi adolescenti, dovremmo chiederci se realmente questa condizione depressiva è insorta nell’età adulta, o altro non è se non la riattivazione di una condizione depressiva che era rimasta soffocata e latente. La verità è esattamente questa: non si diventa depressi da grandi, non si diventa depressi da adolescenti, ma in realtà i nuclei depressivi si definiscono in particolare nei primi tre anni della vita di ciascun bambino. Questo fatto rende ragione di quanto importante sia questo periodo per la vita di ciascun nostro bambino. La depressione è un'affezione che si conosce da tempo, ma come patologia riferita al mondo degli adulti. Come patologia infantile, è un'affezione di cui si è cominciato a parlare di recente. Di certo la condizione depressiva non può essere sanata unicamente attraverso fonti di piacere e di gratificazione, tanto più perchè la gratificazione alla quale spesso dimentichiamo di dare il vero peso è quella legata alla famiglia e a quei valori fondamentali che ispirano, peraltro, l'Opera di Padre Giuseppe.
Soltanto
negli ultimi venti anni cominciamo ad avere in letteratura statistiche, studi e
ricerche, ma sono ancora una grande minoranza, e se i medici non sono in grado
di fare diagnosi sulla depressione infantile questo si verifica perché nella
maggior parte dei casi non la riconosciamo. Di qui la funzione importantissima
dell’insegnante delle scuole elementari che, credo, rappresenti uno strumento
fondamentale per aiutare i nostri bambini. perché insegnanti preparati possono
rilevarne alterazioni comportamentali, condizioni prevalenti di tristezza o di
disinteresse alla vita e alle attività che vengono proposte ai nostri bambini.
E l'assenza di un bagaglio formativo in questo ambito educativo spiega perché
la depressione tende a diventare un'entità clinica a fronte della quale noi
dobbiamo mostrare attenzione e quanto siamo venuti dicendo fin qui, smonta il
luogo comune essere bambini e ragazzi significa essere felici. Questa idea non
è più valida, probabilmente da un cinquantennio e non lo è a maggior ragione
oggi, perché la spensieratezza non è più una condizione direttamente
ascrivibile all’essere bambini o all’essere ragazzi. E il convincimento diffuso
che la depressione possa essere generata unicamente da un lutto, o da una
condizione di dramma non è vero. I bambini oggi vivono una situazione di
sensibilità maggiore rispetto a qualche anno addietro. Per cui anche i piccoli
eventi del quotidiano possono innescare una
condizione depressiva, soprattutto perché ormai la nostra società ritiene che
la felicità per i bambini e per gli adulti risieda nel possesso di alcuni beni,
che sono beni materiali. Un bambino è felice, si pensa, se possiede la play
station, o lo status symbol del momento.
Un bambino è felice se riesce a utilizzare
lo zainetto con il campione del mondo dello sport. E quando ha consumato un
oggetto che gli ha dato una gratificazione temporanea, il bambino è
immediatamente alla ricerca di un altro gioco che parimenti gli conferisca
gratificazione e “felicità”. E quando questa cosa non la ottiene, il bambino
comincia a dimenarsi. Nei centri commerciali, si vedono spesso bambini che si
rotolano a terra fino a quando il genitore non soddisfa la loro richiesta. E
allora ci si rende conto che gli anni che passano in maniera soft al vaglio
della nostra attenzione sono tra i principali elementi che innescano reazioni
depressive nei nostri bambini. Ognuno di noi si scandalizza quando dal giornale
legge di un abuso sessuale perpetrato a danno di un minore. Ma credo che pochi
si interrogano rispetto ad alcuni abusi invisibili che la nostra società mette
in essere. Gli abusi legati al consumismo e alla pubblicità, per esempio la
grande industria produce e mette in commercio degli oggetti che destina in
particolare ai bambini. Perché i bambini poi saranno i consumatori per tutta
quanta la vita. Investire su adulti come Padre o chi vi parla significa avere
una prospettiva di vendita di 40 anni. Investire su un bambino significa avere
una prospettiva di vendita di almeno 70 e, quindi, individuare un consumatore
fedele nel tempo. In questo modo, si identifica un oggetto che è capace di
trovare l’attenzione del bambino (un campione dello sport o dello spettacolo),
con un determinato oggetto associato al consumo di un utensile, o di un
alimento. Così, il nostro bambino, emozionato da quella immagine, comincerà a
consumare quel determinato oggetto. Un altro grande problema del momento è
quello dell’obesità infantile. La nostra è una società paradossale: a Perugia,
sede della manifestazione “Euro-chocolate”, insegniamo ai bambini ad abbuffarsi
di cioccolato e creiamo gli obesi, a Todi invece li riabilitiamo. Questi sono i
grandi abusi invisibili che si perpetrano a danno del bambino. E quando noi
abbiamo innestato nel bambino il bisogno di un determinato oggetto, se questo
non viene concesso, il bambino scatena spesso una reazione depressiva.
Opere e attività del tipo che porta avanti P. Giuseppe in favore dell’infanzia e adolescenza dovrebbero crescere ed essere incrementate a fronte di un bisogno crescente di fronte al quale le istituzioni spesso sono latitanti e se non fossero presenti iniziative come quella che porta avanti Padre Giuseppe, verosimilmente la drammaticità della condizione degli infanti e degli adolescenti della nostra Provincia lieviterebbe in maniera esponenziale.
Fine prima parte