Dalle radici più profonde

 

Nel parlare di umiltà si potrebbe correre il rischio di cadere nella retorica o peggio nella banalizzazione del termine.

In un mondo in cui il messaggio prevalente dei tormentoni pubblicitari che ovunque bombardano i nostri cinque sensi, sembra essere “IO POSSO”, “IO SONO”, “IO VALGO”, “TUTTO GIRA INTORNO A TE”, dove ci sentiamo gli “ombelichi del mondo”, che senso ha parlare di UMILTA’?

  Veniamo all’etimologia del termine: la parola umiltà trova le proprie radici nel termine humus cioè “terra”. E da che cosa deriviamo noi se non dalla terra, che altro siamo? Da che cos’erano stati tratti i nostri progenitori dal nostro Creatore?

 

Eppure dimentichi della loro origine hanno pensato che sarebbe stato possibile “essere come Dio”. Molto probabilmente il loro peccato di superbia non è molto dissimile dal nostro a livello individuale e sociale. Ci sostituiamo a Dio ogni qual volta giudichiamo il Suo operato o giudichiamo i fratelli o le sorelle illudendoci di essere immuni dal difetto che in lui o lei stiamo criticando. Ci stiamo sostituendo a Dio nel credere di poter fare a meno di Lui, padroni come siamo delle nostre esistenze (per cui siamo noi i “signori” della vita e della morte stroncando tramite l’eutanasia o l’aborto migliaia di innocenti), padroni dell’albero della vita ponendo mano al DNA, siamo noi in fin dei conti i veri “creatori” e “signori dell’universo” capaci persino di procreazione artificiale. A che ci serve Dio? Che ha più da dirmi l’umile bimbo della grotta di Betlemme oggi? Quest’umile bimbo, che da grande ci ripeterà che la conditio sine qua non per entrare nel Regno è farsi bambini, viene a ricordarci che il Mistero non può essere rivelato ai superbi (“Al superbo volge lo sguardo da lontano” dice la Parola), che chi non riconosce la propria creaturalità, resta nel baratro della menzogna, del non essere.

 L’umiltà, regina delle virtù perché come il sale rende possibile la conservazione di alcuni cibi, così essa permette la preservazione di tutte le altre virtù, non è altro che verità.

 

Lo ribadisce anche S. Faustina Kowalska nel suo diario affermando che essa non è servilismo o avvilimento, ma è conoscenza di sé.

“Stimati qual sei in verità: un nulla, una miseria, una debolezza….capace di convertire il bene in male, di abbandonare il bene per il male, di attribuirti il bene e giustificarti nel male, di disprezzare il Sommo Bene”: sono le parole dell’epistolario di un gigante nella santità quale padre Pio. Egli stesso continua nell’epistolario III: “L’umiltà e la carità sono le parole maestre, tutte le altre sono dipendenti da esse…l’una è la più bassa, l’altra è la più alta. La conservazione di tutto l’edificio dipende dal fondamento e dal tetto”…La nostra anima è, infatti, un edificio spirituale: se dovessero mancare le fondamenta che cosa accadrebbe?

Come riconoscere se siamo o non siamo umili? Innanzitutto riconoscendo che non lo siamo. Chi afferma o crede di essere umile già manifesta uno spiraglio di vanagloria, più perniciosa della superbia stessa. Se mi riconosco realmente per quello che sono (e questo è già grazia, dal momento che lo Spirito Santo ci rivela poco per volta le nostre miserie):

·        Cercherò di non cadere in una sorta di narcisismo spirituale, compiacendomi di me stesso o dei miei talenti (“Se lo hai ricevuto -dice S. Paolo- perché te ne vanti come non lo avessi ricevuto?”).

·        Non dovrei lamentarmi delle offese, chiunque sia ad arrecarmele (un superiore, un inferiore, un mio pari ) e quindi dovrei giustificare e scusare tutti, dal momento che stanno dicendo cose non sempre lontane dalla verità, anche se spesso, a causa dell’alto concetto che abbiamo di noi stessi, questo non lo riconosciamo.

·        Devo pormi di fronte al Signore come un povero mendicante bisognoso di tutto e riconoscere che dipendo da Lui per TUTTO. Ciò non è infantilismo, ma è riconoscere la propria creaturalità , il tuo essere creatura e non creatore.

·        Ogni volta che cadrò in qualche debolezza o peccato, non dovrò stupirmene ma confidare in Lui, dal momento che nella sua meravigliosa pedagogia il nostro Padre celeste sa sfruttare anche il nostro peccato per renderci più umili. “Le nostre miserie - diceva P. Pio- diventano il trono della Sua Misericordia”.

 

Concludo con uno stralcio del diario di S. Faustina, maestra in questa virtù: “O UMILTA’ fiore stupendo, vedo quante poche anime ti posseggono! E’ forse perché sei così bella e nello stesso tempo così difficile da conquistare? Oh sì l’una e l’altra cosa. Dio trova in essa il suo compiacimento. Sopra un’anima umile sono aperte le cateratte del cielo e scende su di lei un mare di grazie. Oh quanto è bella un’anima umile! Dal suo cuore si innalza come da un incensiere ogni genere di profumo estremamente gradito, che attraversa le nubi e giunge a Dio stesso e riempie di gioia il suo Cuore Sant.mo. Ad una tale anima Dio non rifiuta nulla; una tale anima è onnipotente, essa influisce sul destino del mondo….Oh umiltà, metti radici profonde in tutto il mio essere!

 

 Oh Vergine purissima, ma anche umilissima, aiutami a conquistare una profonda umiltà. Ora comprendo perché ci sono così pochi santi, perché sono poche le anime profondamente umili”. Lasciamoci dunque lavorare da Colui che conosce il  nostro cuore più di ogni altro e se dovesse permettere qualche umiliazione accettiamola come prezzo della conquista di un bene prezioso: la virtù.

                                                                                                      

 

                                                                                

                                                                                                 Gabriella