Eros ed ethos nel mondo pagano 

 

 

Tra la componente erotica e la dimensione morale dell’uomo non può non esserci una relazione molto stretta. Si tratta, infatti, di due sfere d’azione complementari, dal momento che l’impulso sessuale coinvolge troppo l’uomo per non avere ricadute anche etiche e morali. Questa relazione emerge particolarmente nel mondo pagano, prima che la diffusione del Cristianesimo regolamentasse rigidamente i comportamenti sessuali. San Paolo è a tal proposito molto chiaro e più volte, nelle sue lettere, che sono le più antiche testimonianze scritte della nuova religione, invita i suoi destinatari a rompere definitivamente con abitudini e comportamenti pagani divenuti ormai, nella pienezza del tempo della Grazia, inaccettabili. L’Apostolo delle genti ebbe speso a che fare con comunità che non avevano ancora rotto con le usanze del passato; e nella maggior parte dei casi non è difficile intuire che la polemica si indirizza contro costumi sessuali pervertiti e pervertenti.

 

L’etica erotica del  mondo pagano greco-latino è, in effetti, molto lontana dalla nostra  sensibilità e dalla nostra educazione. Essa risente innanzitutto, sia ad Atene che a Roma, della netta divisione della società in classe aristocratica e popolo, sempre visto con diffidenza, come massa informe e pericolosamente irrazionale. Mentre nei “piani bassi” della scala sociale greca il rapporto tra eros ed etica appare centrato sulla dialettica dei sessi, la componente aristocratica, che è poi anche l’intellighentia culturale, elabora fin dai tempi di Omero una visione chiaramente pederastica delle relazioni tra individui dello stesso sesso. Pur se anche i rampolli delle famiglie nobili erano indirizzati ad una vita coniugale “normale”, non si vedeva nulla di male nel fatto che la loro educazione fosse affidata a precettori dello stesso sesso che li iniziassero anche alla vita erotica, dal momento che il sesso rientrava con tutta facilità nei manifesti pedagogici dell’epoca. Basti a tal proposito pensare al tiasos di Saffo, una comunità femminile guidata dalla celebre poetessa ed esempio non isolato di “collegi” per figlie di papà dove le fanciulle si preparavano alla vita matrimoniale insieme, condividendo anche gli aspetti più intimi e nascosti della loro personalità e del loro corpo. I componimenti superstiti di Saffo, del resto, tra i più belli della letteratura greca delle origini, non lasciano adito a dubbi.

 

La stessa cosa avveniva tra i ragazzi aristocratici: Platone, nel Convivio, mette in bocca ad uno degli interlocutori del dialogo quella che è considerata una vera e propria esaltazione dell’amore per i ragazzi, considerata addirittura, qualora sia stata depurata dalle scorie più grossolane della fisicità, la forma migliore e più nobile dell’amore. Si tratta, ripeto, di morali appannaggio di una ristretta cerchia di persone, le stesse che escludevano categoricamente le donne dalla compagine sociale, relegandole in quella stanza della casa che si chiama gineceo proprio dal termine che nella lingua greca designa l’ individuo di sesso femminile: guné.

A Roma, fin dalle origini, la situazione è visibilmente diversa. La potenza romana nasce intorno a valori che resteranno sempre mitici nella coscienza del popolo e della cultura, nonostante la divisione sociale e la distanza tra piazza e palazzo che caratterizza tutte le società antiche. Tra questi valori un ruolo di primo piano spetta alla famiglia, in una accezione decisamente più  aperta ed allargata rispetto a come la concepiamo oggi.     

 La familia latina comprende, infatti, anche i parenti più  prossimi e un folto numero di schiavi, tutti  gravitanti attorno all’autorità indiscussa del     pater (che nelle epoche più antiche    aveva addirittura il diritto di  vita e di morte sulla famiglia)   e della matrona, figura che da subito diviene la depositaria e la garante di tutte quelle virtù (temperantia, fides, modestia, patientia) percepite come fondamento non solo delle relazioni domestiche, ma anche sociali. Roma sognerà sempre di essere una familia allargata, e per questo se la prenderà tanto contro la diffusione di costumi ed usanze greche ed egiziane, vissute come un inquinamento morale e politico.

 

La più spiccata attenzione, da parte del mondo romano, ai cicli naturali della fertilità dei campi e della donna comporterà non solo una maggiore autonomia dell’elemento femminile ma anche la recisa condanna di tutti quegli atteggiamenti sessuali che, pur così diffusi nel mondo greco, saranno sempre rifiutati, almeno in una visione collettiva e sociale dei rapporti umani. Lo statalismo romano, infatti, non avrebbe mai permesso il diffondersi di mode ed abitudini che fossero contrari all’eredità morale dei padri e alla configurazione prettamente virile e bellica della compagine politica, soprattutto repubblicana. Di qui la strenua difesa della romanità tradizionale da parte di Cicerone, l’esaltazione di una razionalità divina che si incarna nella storia di Roma da parte degli stoici, il gruppo filosofico più rappresentativo del periodo a cavallo tra I sec. a.C e I sec d.C,, le rampogne degli autori di satire, da Lucilio a Giovenale, che rimpiangono il bel tempo antico e sferzano il presente, a partire dalle donne, spudorate e così diverse dalla sobrietà delle loro colleghe di un tempo, tutte casa e campi. Si tratta di una battaglia in gran parte inutile, vista la generale corruzione dei costumi; e saranno gli autori cristiani, a partire già dal II sec. d.C, a stigmatizzare i comportamenti più ambigui della paganità, soprattutto in materia sessuale. Nel tardo impero, infatti, Roma conosce una dimensione nuova dell’etica erotica: quella religiosa.

Diffusissimi si fecero i culti a sfondo prettamente orgiastico, tanto che non pochi autori pagani leggono nell’usanza tipicamente cristiana di chiamarsi tutti fratelli e sorelle un chiaro riferimento a pratiche incestuose.

 

Gli autori cristiani, fino all’epoca patristica, dovranno lottare a lungo contro queste dicerie e solo con un estremo atto di coerenza riusciranno ad imporsi come modelli di una vita sobria controllata e pura, in mezzo ad una generazione “perversa”. E’ il trionfo della fedeltà coniugale, dell’amore disinteressato, di una pedagogia depurata da scorie perverse, di una esaltazione della dignità e della morigeratezza femminili. Si era aperta un’altra epoca, anche nei rapporti tra eros ed etica, ed è sempre consolante, quando si leggono gli interventi del Magistero, rendersi conto che il linguaggio ed i valori sono quelli di sempre, in difesa della verità sull’ uomo e sulla storia.   

                                                             

                                                                               Prof. Andrea N.