La sofferenza è vita

La violenza, la fame, la malattia formano una catena che pare voglia tenerci prigionieri e da cui non sappiamo come liberarcene. Viene spontaneo chiedersi: perché Dio, che è nostro Padre buono e onnipotente, che ha creato tutto per l’esistenza e per amore, non vince definitivamente il male e la sofferenza che ci affiancano, con prepotenza, nel cammino della nostra vita?   “Mi chiedevo donde il male, e non sapevo darmi risposta”, così scrive S. Agostino nelle “Confessioni” ma la sua, sofferta e accorata, ricerca ha finalmente trovato una risposta in Dio.

 

Non dimentichiamo che il male è retaggio del peccato dei nostri progenitori, dal quale Dio ci ha liberato, mandando il suo unigenito Figlio Gesù come vittima di espiazione.

Gesù non è venuto per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato”, che ci allontana da Dio, sommo bene (cfr. CCC 549).  E’ dall’alto della Croce, piantata sul Golgota della nostra umanità, che Gesù ci ha liberati definitivamente dal male e dalla morte, restituendoci l’abbraccio del Padre. Dalla Croce, dove si è consumato ed è giunto a compimento il sacrificio di Gesù, è stata operata la nostra salvezza. Gesù ha crocifisso il peccato perché non potesse più nuocere in eterno! In questo modo Gesù ha dato alla sofferenza un valore redentivo ed inestimabile. Il nostro soffrire ha finalmente un senso: tutti coloro che soffrono ed offrono a Dio partecipano con Lui a quest’opera di redenzione.

gesu_crocifisso.gifS. Paolo dice di sé ai Colossesi: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).   

S. Pietro, dal canto suo, ci ricorda che “ …nella misura in cui partecipiamo alle sofferenze di Cristo, dobbiamo rallegrarci perché anche nella rivelazione della sua gloria possiamo rallegrarci ed esultare” ( Cfr.1Pt 4,13).

Pertanto la nostra sofferenza, unita a quella di Gesù, è fonte e sorgente di grazia e non una punizione, un castigo, mandatoci da Dio, come certuni credono. 

Anche gli apostoli furono colti da questo dubbio, a proposito del cieco nato: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? ”.  Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (Gv9,1).

 

  A quanti di noi, come per il Cireneo, è capitato di essere stati chiamati, senza preavviso e contro la nostra volontà, a portare la croce? Certamente il Cireneo, quando ha incontrato lo sguardo di Gesù, ha dimenticato le sue resistenze e Lo ha aiutato con amore; anche noi, quando incontriamo lo sguardo del Salvatore, ci sentiamo spinti e motivati dall’amore ad accogliere la sofferenza.

 Quando soffriamo non facciamo che compiere la volontà di Dio per la nostra salvezza e quella dei nostri fratelli, obbedendo a quanto Gesù ci ha invitati a fare: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” ( Lc 9,23).

 

  E S. Pietro ci ricorda: A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti”  (cfr. 1Pt 2,18).

I santi, nel loro piccolo, hanno seguito l’esempio di Gesù. Che tenerezza sprigiona il pensiero dei piccoli pastorelli di Fatima, Giacinta (8 anni ) e Francesco (9 anni), che hanno offerto la loro malattia “per la conversione e la salvezza dei poveri peccatori”, così come la Madonna aveva chiesto loro nelle apparizioni.  E non ci venga di pensare che per i santi fosse tutto più facile, al contrario hanno dovuto sostenere una dura lotta per mantenere in loro fermo il proposito di seguire l’esempio di Gesù Crocifisso.

 P. Pio così scrive al suo Padre Spirituale:

“Mi copro il volto di rossore; so benissimo che la croce è il pegno dell’amore, la croce è caparra di perdono, e l’amore che non alimentato, nutrito dalla croce non è vero amore; esso si riduce a fuoco e paglia. Eppure con tale conoscenza questo falso discepolo del Nazareno sente sul cuore pesare enormemente la Croce, e molte volte…va in cerca del pietoso cireneo che lo sollevi e lo conforti ….

Eppure, padre mio, ho grandissimo desiderio di soffrire per amore di Gesù. E come va poi che alla prova, contro ogni mio volere, si cerca qualche sollievo?  Quanta forza e violenza devo farmi in queste prove per ridurre al silenzio la natura, diciamola così, che reclama altamente di essere consolata. ( Lett. a P. Agostino 21/4/1915)

 

Quante volte ci è capitato di voler abbandonare, senza mezzi termini, la nostra croce, ritenendo il suo peso veramente insostenibile, tanto da farci dubitare della stessa bontà di Dio per noi.

Nella sofferenza ci sentiamo di peso, inutili, perché vorremmo fare tanto per la nostra famiglia, per i fratelli più deboli, per l’apostolato, ma siamo impotenti! È il momento del ripiegamento su noi stessi, lo scoraggiamento, la solitudine, la tristezza ci avvolgono. Siamo in travaglio, vorremmo essere guariti, vorremmo che tutto passasse in fretta…

Anche Gesù, in preghiera nel Getsémani, fu preso da tristezza e angoscia al pensiero di quello che avrebbe sofferto ed ha chiesto al Padre “Padre,se vuoi, allontana da me questo calice, (Lc 22,39)  ma l’amore per ciascuno di noi lo ha portato ad accogliere la volontà salvifica del Padre e a dire“non la mia ma la tua volontà si compia”.

Gesù ha sofferto tantissimo, e non dobbiamo pensare che la sua sofferenza fosse mitigata dalla sua divinità, sì, Gesù è vero Dio, ma è anche vero uomo e come tale, sulla Croce, quando la sua sofferenza ha raggiunto l’apice, ha gridato al Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Come avrebbe potuto pronunciare queste parole, se non si fosse sentito schiacciare dal dolore?

 

 Anche noi quando siamo schiacciati dal dolore, esperito ogni tentativo per essere guariti,  non dobbiamo temere l’immobilità e l’impotenza della croce, è il momento del nostro sì alla volontà del Padre, anche noi possiamo osare e dire come Gesù: “Non la mia ma la tua volontà si compia”.

Dalla Croce siamo stati “guariti”, è il miracolo più importante operato da Gesù, il miracolo dei miracoli, l’azione delle azioni. Se ci troviamo sulla via del calvario stiamo facendo con il Signore qualcosa di bello per noi e per i fratelli.

Ormai non ci sono più dubbi, la sofferenza, la malattia ci avvicinano a Dio, il nostro corpo è a servizio di Dio: “avendo Cristo sofferto nel corpo, anche voi dunque armatevi degli stessi sentimenti. Chi ha sofferto nel corpo ha rotto con il peccato, per non vivere più il resto della sua vita nelle passioni umane, ma secondo la volontà di Dio” (1Pt 4,1 )

 La nostra pace e la nostra gloria sta nel compiere la volontà di Dio qualunque essa sia.

Dobbiamo esserne certi: partecipare alle sofferenze di Cristo è un segno di elezione.  “Quante volte mi avresti abbandonato, figlio mio, se non ti avessi crocifisso. Sotto la Croce si impara ad amare ed io non la do a tutti, ma solo a quelle anime che mi sono più care”, disse Gesù a P.Pio.  Non ci sentiamo forse consolati da queste parole di Gesù? Anche Teresa D’Avila si è sentita rispondere più o meno allo stesso modo quando si lamentava con il Signore.

 Certamente è più facile meditare sulle profondità salvifiche e spirituali della Croce che portarne il peso, viverle, ma non siamo soli, Gesù ci è accanto, infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Ebrei 2,18)

E con S. Paolo siamo certi: “Tutto posso in colui che mi dá la forza” (Fil 4,13). 

 

San P.Pio, da valoroso guerriero, ci incoraggia e ci fa riflettere:

“Felici noi, che contro ogni nostro merito, già siamo per divina misericordia, su gli scalini del Calvario: già siamo stati fatti degni di seguire il celeste Maestro, già siamo stati annoverati alla beata comitiva delle anime elette; ed il tutto per un tratto specialissimo della divina pietà del Padre celeste. E noi non la perdiamo di vista questa beata comitiva: Teniamoci sempre stretti ad essa e non ci spaventi né il peso della croce che bisogna portare, né il lungo viaggio che bisogna percorrere, né l’irto monte a cui bisogna ascendere. Ci rianimi il consolante pensiero che dopo asceso il Calvario, si ascenderà ancor più in alto, senza nostro sforzo; si ascenderà il monte santo di Dio, alla Gerusalemme celeste……Coraggio dunque; stabiliamoci con sempre nuova e crescente fermezza in una forte e soda speranza. Ed allora sì che ancor noi sperimenteremo la dolcezza della croce. Anche noi esclameremo con il nostro serafico Padre (S. Francesco): “E’ tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto.” (Lett. alle sorelle Ventrella)   

L’esempio dei santi ci aiuti ad andare avanti nel cammino della nostra vita. Sarebbe bello se con la nostra croce raggiungessimo il Calvario! Probabilmente non avremo la forza di farci crocifiggere, perché troppo grande il dolore, per questo, Gesù, perdonaci e consentici di rimanere con Te, sotto la Croce insieme a Maria e Giovanni.

Maria Santissima, Maestra del soffrire, ci aiuti a vivere con fede, compostezza, in piena obbedienza e sottomissione, la volontà di Dio, che è volontà di pace e di salvezza eterna.

 “O mia carissima figliola, questa vita è breve…. Le ricompense di ciò che si opera nell’esercizio della croce sono eterne! P.Pio (5/11/1917)

 

 

                                                                               Sorella Elisabetta