Le dinamiche psicologiche del matrimonio cristiano – Rischi della convivenza

 

 

Oggi si parla tantissimo della famiglia. In tutti i crocivia dell'avventura umana, in ogni settore viene coinvolta la comunità familiare: sul piano economico, sociale, religioso, educativo. Siamo robotizzati dalla mentalità corrente, che spesso diventa norma di vita.

Sentite la prefazione di un testo, di cui vi dirò titolo e autore:

< la nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani>.

Con questa mini-parabola folgorante il filosofo danese Soeren Kierkegaard nei suoi Diari rappresentava la società del suo tempo. In realtà l'immagine si adatta alla perfezione anche ai nostri giorni. All' interno delle nostre case il “megafono” del televisore ci indica accuratamente i prodotti da consumare, i vestiti da indossare le mode da seguire, le conserve di sentimenti da preferire, ma nessuna voce ci fa balenare il senso dell'agire, del dire, del vivere. E, così, con le mani alzate in segno di resa o di adorazione, proseguiamo una navigazione senza rotta e senza meta, sballottati dalle onde più forti, cullati dal beccheggio della superficialità.

Vorremmo, invece con queste riflessioni  e commenti su una celebre pagina biblica proporre un'altra voce, anzi, altre parole. Sono antiche, persino remote, sbocciate nelle aride solitudini del deserto del   Vicino Oriente, ove i falsi bisogni e le sovrastrutture non resistono alle necessità primarie della sete, della fame, del vivere.

Sono dieci parole imperative, “da comandante”; non accarezzano l'orecchio, ma artigliano la coscienza, non propongono un piccolo sentiero, ma delineano una via maestra, erta e irta di asperità.

<Non c'è specchio migliore in cui tu possa vedere quello di cui hai bisogno se non i dieci comandamenti nei quali tu trovi ciò che ti manca e ciò che devi cercare> (M. Lutero). È uno specchio in cui non deve riflettere il suo volto solo l'ebreo o solo il cristiano, ma anche il “laico”, ogni uomo che si interroga sul senso dell'esistenza, sul valore del bene e del male, della verità e della menzogna, della giustizia e del crimine, della vita e della morte.

 Ma torniamo a noi. Sabato e domenica scorsi ho celebrato due matrimoni. Sono passati pochi giorni, ma ho ancora vive nella mente le voci dei due sposi: “Prometto di esserti fedele sempre.... Io.... prendo te... come mia sposa”. Sono voci che sento sempre dall'inizio del mio ministero (sono tanti anni...) più o meno sempre le stesse formule; voci gioiose, timide, spesso commosse e velate di pianto. Spesso ho la sensazione di ascoltare una sinfonia di Mozart, una sonata di Shopin, ma forse note più pregnanti di significato, perché sul piatto della bilancia c'è la loro vita.. per sempre.

Un uomo e una donna. Sono in genere passati gradualmente attraverso le normali fasi della conoscenza, dell'amicizia, della simpatia e del fidanzamento. L'amore era un po' come la filigrana che li teneva uniti. Un giorno hanno deciso e pian piano hanno programmato il loro matrimonio.

Un uomo e una donna. Ci viene da pensare al progetto  di Dio, per trasmettere la vita . Dio è amore infinito. Il mistero Trinitario sfugge alla comprensione della nostra mente. Noi siamo - per natura – delle entità relazionate, non solo perché  viviamo in relazione, ma soprattutto perchè la comunicazione è essenziale - oserei dire ontologica - per il nostro equilibrio esistenziale. L'amore matrimoniale e la fecondità della vita sono il riflesso luminoso del Creatore . Dio ha creato “adam” l'essere umano in generale, la totalità dell'umanità. Vi è poi il termine “ish”, con il quale si vuole indicare l'essere umano maschio e spesso anche il marito; a questo termine corrisponde il termine “isshah”, cioè la donna ma anche la “moglie”.Vi è anche il termine “enosh” (molto simile ad “adam”) nel significato, ma con una sfumatura che evoca la fragilità della natura umana. Sarebbe stimolante approfondire le esegesi più accreditate del testo biblico (1° e 2° cap. della Genesi),ma basta così :toccata e fuga, come si dice in gergo musicale. “Guai a chi è solo” diceva Seneca. Sappiamo quante patologie può scatenare la solitudine dell'uomo. E il grande scrittore argentino Jorge Borges scriveva: “l'uomo si risveglia alla vita, immerso in due oceani sconfinati. Essi sono grembi fecondi, ma anche prigioni soffocanti. I loro nomi sono scritti in tutte le mappe del mondo :”Spazio e Tempo”. E certamente molti ricordano la lirica stupenda di S.Quasimodo: “ Ognuno di noi è solo un lembo di terra, trafitto da un raggio di sole … ed è subito sera”. Mi sembrano concezioni nihiliste, che lasciano l'amaro in bocca e l'angoscia nel cuore.

Vivere in relazione, realizzarsi nella vita, nonostante le difficoltà del quotidiano è la storia di ciascuno di noi, della maggior parte degli esseri umani, a meno che non ci sia una vocazione diversa finalizzata alla solidarietà umana.

Un uomo e una donna. Fermiamoci, noi che corriamo sempre nell'autostrada della vita alla ricerca della felicità, su alcuni aspetti della vita di relazione, ponendoci alcune domande – 1) Senza demonizzare “a priori” il fenomeno della sessualità, si possono delineare delle tappe per quanto riguarda l'equilibrio umano? – senz'altro. La prima tappa della maturità sta nell'integrare la sessualità nella globalità della persona. Concedere la priorità al piacere fisico è uno dei sintomi di uno sviluppo psicosessuale ritardato. La seconda tappa è l'apertura al “tu” e al “noi”, per cui l'attrazione assume il significato di una chiamata umana all'incontro interpersonale, superando la tentazione di chiudersi in se stesso. Non si tratta soltanto di rompere il cerchio della solitudine, ma soprattutto di crescere e maturare insieme scelte sempre più impegnative e profonde. L'esclusivismo che taglia fuori i due dal rapporto con gli altri porta all'asfissia e all'impoverimento, con il rischio di alienarsi l'uno nell'altro. Per integrare il discorso, si potrebbe affermare che, per rompere l'isolamento e spezzare la prigione della solitudine in cui impazzirebbe, l'essere umano cerca di instaurare rapporti con gli altri. Questi rapporti possono essere di tre tipi, fondarsi cioè sul piacere, sull'utilità e sul valore. Chi vive le sue relazioni a livello di puro piacere, diventa schiavo delle pulsioni elementari e si mura in una specie di “narcisismo primario”, nell'adorazione di quell'idolo, che è se stesso. Si ha il “narcisismo secondario”, quando le relazioni sono fondate sull'utilità , ed allora i rapporti affettivi sfiorano il partner, ma rimbalzano sul soggetto. Solo nelle relazioni fondate sul valore, il partner è vissuto come persona, carica di verità e di libertà: la sessualità diventa allora il linguaggio di un rapporto umano, ma anche spirituale, che prende tutto l'uomo.

2) Un'altra domanda potrebbe essere: Nella vita di relazione, quali sono le caratteristiche psicologiche dell'uomo e della donna? L'uomo in genere: ha un aspetto più forte e più robusto; bada alla sostanza più che alla forma. È più stabile di umore. È meno suggestionabile. Ha una sessualità più pronta. È più aggressivo e portato al dominio. Sviluppa meglio il ragionamento. Tende a cogliere la sintesi delle cose, più che i dettagli. Ha più spiccate doti di guida. Segue una dinamica di conquista. Si orienta di più verso il mondo esterno. – La donna in genere: bada di più alle piccole cose ed ha più bisogno di tenerezza. È più dolce, cordiale, comprensiva. È più impressionabile. È più facile alla comprensione e alle lacrime. Cambia umore più facilmente. Sa vivere in modo più partecipe le sofferenze altrui. Ha più intuito, più pazienza e più costanza. È più diplomatica. Si adatta più facilmente alle situazioni. È più disponibile al sacrificio. Si abbandona di più. Tende a chiudersi nel proprio mondo. Emerge in genere che è più spiccata nella donna la sfera emozionale. L'uomo e la donna: si tratta di due direttori di orchestra, che danno vita ad un'unica sinfonia; come dire: l'uomo è il cervello e la donna è il cuore.

3) Un'ultima considerazione (spigolando tra le tante domande che potrebbero essere formulate) potrebbe riguardare le difficoltà del processo educativo nel contesto del “relativismo culturale”, di cui parla tanto il Pontefice. La famiglia cristiana dovrebbe tendere gradualmente ad essere una comunità di fede, una comunità di amore, una comunità in ascolto, una comunità in cammino, una comunità che rende testimonianza. I figli non hanno bisogno di maestri, ma di modelli e di testimoni. Bisogna aiutarli a superare il bombardamento dei messaggi mediatici (di cui abbiamo parlato all'inizio) ed inoltre a formare la loro capacità critica. Molte volte gli adolescenti sono anarchici a livello non soltanto biologico, ma anche psicologico. Spesso funzionano a corrente alternata: entusiasmo, coraggio, senso sociale, generosità, ma anche pretesa, disimpegno, incoerenza, ribellione, scoraggiamento. Bisogna con tatto e intelligenza educarli alla fede, alla riflessione, al silenzio, alla preghiera, alla pace, alla solidarietà, alla coerenza, alla sessualità, alla giustizia, al rispetto della natura, alla libertà, a saper ascoltare. È in gioco la formazione la costruzione della loro personalità. Tutti noi abbiamo delle capacità , delle virtù che possono essere risvegliate e dei difetti che possiamo correggere. È necessario affinare la propria sensibilità, esercitare la propria intelligenza, aprire la propria mente al nuovo, essere sinceri con se stessi e chiedere che lo siano gli altri, conservare una pulizia interiore che ci consente di valutare uomini e situazioni in modo oggettivo, cercando le esperienze, i libri, i film,  gli spettacoli, gli incontri umani che ci arricchiscono, che ci danno forza, serenità, vita gioia, evitando quelli che ci inaridiscono, ci sporcano e ci incattiviscono. Chi pensa di essere perfetto e non sente il dovere di correggersi diventerà arrogante ed inquinerà tutto ciò che tocca. L'arroganza nella dogmatica esposizione del proprio punto di vista, l'insofferenza e la radicalizzazione nevrotica a livello esistenziale e relazionale non sono altro che irriverenza culturale nei riguardi degli altri. È uno stile che non corrode, non convince e non intacca nulla, ma genera scetticismo, noia e avversione.

Ma anche tra coniugi, ogni tanto è necessario fare il punto sulla situazione, una coraggiosa  autoanalisi della propria vita. Certo, non si può conservare per sempre la freschezza dell'innamoramento; possono comparire come schegge sull'amore,  ferite come il distacco, l'impassibilità, l'apatia, la noia, il menefreghismo, l'indifferenza. Questi tarli riducono il matrimonio a mera convivenza sotto lo stesso tetto, scambiandosi solo cenni o frasi sul tempo che fa. Il russo Cechov non esitava a dire che “l'indifferenza è la paralisi dell'anima, è una morte prematura”. Il dialogo si spegne, i fremiti di tenerezza scompaiono, la noia diventa il  nuovo, impalpabile velo nuziale. Tutto questo avviene insensibilmente, senza clamorose liti o inganni, ma solo lasciando che giorno dopo giorno cada un granello di noia, di distacco e di apatia. I granelli si trasformano in una coltre e alla fine si è di fronte al deserto dell'anima e dell'amore. Ed allora soprattutto attraverso la fede è necessaria una sorta di “elettrochoc” della coscienza, che dobbiamo più spesso scuotere e interpellare, svegliandola da un letargo che è fatto di noncuranza e grigiore, così che risuoni ancora nella vita l'imperativo morale dell'amore e dell'umanità.

Concludendo: sarebbe veramente stimolante se questa riflessione potesse coinvolgere ogni ambiente sociale, cercando di facilitare la comunicazione e l'interazione delle persone, soprattutto tra quelle che si trovano in difficoltà.”Beati gli operatori di pace perchè saranno chiamati figli di Dio”. È un invito pressante che è rivolto non solo a noi qui presenti, ma a quanti sentono il bisogno di collaborare alla costruzione del regno di Dio qui sulla terra.

Bisogna esssere convinti che in tutti i settori, una crisi di rapporti logora, anemizza e uccide gradualmente la comprensione, lo scambio di idee, il dialogo, l'aiuto reciproco, la speranza... ed innesca un clima di intolleranza, intransigenza, radicalizzazione nevrotica, instabilità, paura, dubbio, gelosia, invidia, pettegolezzo, solitudine, arroganza, presunzione, odio, noia, sconforto, egoismo...

Quando invece l'interazione è ottimale, si respira un clima di serenità, sicurezza, collaborazione, servizio, disponibilità, pazienza, senso dell'umorismo, gioia, fiducia, fedeltà, tolleranza, rispetto, giustizia, allegria, capacità di perdonare, solidarietà, elasticità mentale e corresponsabilità. Non ci resta che domandarci:” che tipo di mondo vogliamo? Nonostante i nostri limiti, siano disponibili, ognuno nel proprio ambiente, corroborati dalla fede e con l'aiuto della Madonna, nostra Compagna di viaggio, a diventare non formalmente, ma davvero, costruttori di giustizia, di pace e di amore.

Concludendo – cerchiamo di cogliere il senso profondo di questo meraviglioso sonetto del poeta romanesco Trilussa e di applicarlo alla nostra missione.

 

La candela

Davanti ar Crocefisso d'una chiesa

una candela accesa

se strugge de l'amore e de la fede

je da tutta la luce

tutto quanto er calore che possiede

senza abbadà se er foco

la logora e la riduce a poco a poco.

CHI NUN ARDE NUN VIVE.

Come è bella la fiamma di un amore che consuma

purchè la fede resti sempre quella!

Io guardo e penso. trema la fiammella,

la cera cola e lo stoppino fuma.