IL TUO SI’ D’AMORE PASSA PER IL CUORE DI DIO
è stato il tema della giornata di ritiro organizzato dalla nostra Opera per le famiglie aggregate. Riportiamo una sintesi di quanto è stato detto nella giornata.
Non si può lodare veramente Dio con il "sì "della nostra vita, se non ci poniamo sulla linea della verità e dell’umiltà: è questa la traccia sviluppata da Padre Giuseppe nell'intervento di apertura del convegno.
La verità dice all’uomo quello che è : polvere, e l’umiltà glielo fa
riconoscere. Non possiamo dire di essere polvere e poi inalberarci, rivestirci
di quell’onnipotenza di cui siamo spogli perché andremmo contro la verità.
Rivestirsi quindi di verità per produrre umiltà e rivestirsi di umiltà per
vivere in verità. La verità sull’uomo è chiara: è una creatura che non si fa da
sé, ha bisogno di un papà, di una mamma. Da bambino tende le manine per
abbracciare ed essere abbracciato, la bocca per essere nutrito. Tutta la realtà
del bambino grida, con la forza della sua debolezza, il suo bisogno di
assistenza, di amore, di protezione, di tenerezza. Egli grida con tutta la sua
esistenza la verità sull’uomo: ha bisogno di sostegno. Ciascuno di noi non può
negare che nei momenti critici della propria vita il pensiero è corso
direttamente alla persona più cara, la mamma, il papà, la moglie, i figli, il
marito, per chiedere aiuto. Chiedere aiuto alla persona più cara significa
chiedere indirettamente aiuto a Dio, anche se spostiamo il nostro orizzonte da
Dio su qualche creatura. Nei momenti critici della nostra esistenza gridiamo
tutta la verità sulla nostra realtà di fragili, deboli creature bisognevoli di
sostegno, dell’aiuto del Creatore, che si fa, di volta in volta, padre, madre,
moglie, marito, figlio. Abbiamo bisogno di Dio per il nostro esistere, per
essere quello che Lui vuole che siamo: un uomo, una donna, un papà, una mamma. 
Anche chi si affatica per negare l’esistenza di Dio, quando è in momenti
fortemente critici della sua vita, in momenti estremi della sua solitudine,
ritorna con il pensiero laddove con la sua presenza richiedeva amore,
tenerezza, sostegno, ricorre al cuore della persona più cara per chiedere
aiuto, dichiarando così la verità su di sé, sulla sua debolezza e non sulla sua
onnipotenza; tutto ciò lo richiama a cogliere il significato più profondo di
quello che era, che è e che sarà: un eterno bambino bisognoso dell'accoglienza,
della tenerezza di Chi l’ha creato, Dio. Dio fa tangibile il suo sostegno,
dandoci un padre, una madre, una persona cara. Facendo una teologia della debolezza
umana, costruiamo la verità sull’uomo che è polvere e ritornerà in polvere, da
questa verità scaturisce un’altra verità: la nostra umiltà, il nostro essere
terra, che grida con tutta la sua debolezza aiuto a chi, in ultima istanza, è
responsabile della nostra esistenza, Dio: "a Te si stringe l’anima mia, la
forza della Tua destra mi sostiene". Non poniamoci alla presenza di Dio
con superbia, disprezzando, osteggiando l’altro, ponendoci al di sopra degli
altri ma insieme umilmente gridiamo aiuto al Signore con la forza del Padre
Nostro, preghiera pregna, insegnataci da Gesù. Dio non ci farà mancare il suo
sostegno, sempre che ci rimettiamo alla Sua Volontà, che è sempre per il nostro
vero bene. 
Per conoscere la Volontà di Dio dobbiamo conoscere la Sua Parola. Essa è una spada a doppio taglio, mentre sta colpendo, provocando il cuore dell’altro, ha già colpito, provocato il tuo cuore. Così è per il tuo sì sponsale, prima di stare sulla tua bocca è già passato nel cuore di Dio, perché Dio ci ha amato e vi ha amato come coppia, come unità, con un cuore solo e un’anima sola siete stati formati dal cuore e dalla volontà di Dio. In una stessa famiglia, però, ci sarà divisione perché il Signore mentre realizza la comunione nel bene, realizza la separazione da quelli che, purtroppo volontariamente, non accettano la Sua Parola. Il tuo modo di gestire, di intendere la vita, il tuo modo di vivere, di educare i figli diventano per gli altri come tante spine, tante barriere, per cui si creano, non per tua colpa, divisioni, fratture. Tuttavia nasce dal profondo di chi osserva un potente richiamo al bene, all'amore, a Dio.
Quale famiglia può essere definita patologica e quale normale? Il sì espresso all'altare è indenne da patologie?
Così l'intervento della dr. C. Tenuta. 
Sempre più famiglie sono coinvolte da drammi. In una famiglia quando un solo
membro sta male, tutta la famiglia sta male. In ognuno di noi vi è una parte
razionale, una parte istintiva e una parte emotiva. Tutte hanno uguale dignità
e importanza. Nel momento in cui una delle tre componenti viene maggiormente
valorizzata, sviluppata, si crea un disequilibrio, generando un disagio
comportamentale. Se una persona ad esempio sviluppa solo la parte razionale,
avremo di fronte una specie di macchina, una persona priva di affetti ed
emozioni o che comunque non si lascia andare. Se sviluppa invece solo la parte
emotiva agirà in base al momento, a quello che gli è capitato, si lascia
travolgere dalle emozioni, dai sentimenti, non lasciando spazio alla componente
razionale. Se ancora fa prevalere la componente istintiva tenderà a soddisfare,
gratificare ogni suo desiderio. Quando non c'è un equilibrio tra queste tre
parti e la bilancia pende da una parte, ci sono sempre dei problemi. Non è
molto semplice mettere in equilibrio le tre componenti, perché ogni persona è
condizionata dal proprio ambiente sociale, dalla propria famiglia, dal proprio
carattere, dalle proprie predisposizioni che vanno ad alimentare una serie di
meccanismi di difesa, che non fanno altro che portare comunque a una deviazione
dei propri bisogni, delle proprie necessità. In nessuno di noi c'è un
equilibrio perfetto tra le tre componenti e questo genera malessere, più o
meno, grande che ci spinge a trovare un equilibrio che non sempre è quello giusto,
conveniente. Questo è denunciato imperfetto dalle modalità comportamentali di
più persone nei nostri riguardi. Nel malessere viene espressa una richiesta di
aiuto, non sempre con le parole ma sempre con il proprio corpo. Occorre
imparare a leggere questi messaggi non verbali, perché l'analogico, afferma la
dott.ssa Tenuta, non tradisce mai. Non sempre si è capaci a rispondere in
maniera adeguata alle richieste d'aiuto, non sempre è sufficiente una pacca
sulla spalla per sollevare chi è nel disagio, non sempre il disagio viene
capito, può essere necessaria la figura di un esperto che sappia aiutare la
persona a prendere consapevolezza di ciò che ha determinato e determina quel
suo disagio, ad esplorare il perché del disagio e ad imparare ad accettare le proprie
imperfezioni, le proprie fragilità, per poter crescere, migliorare, maturare. 
Tutte le malattie organiche vengono accettate mentre quelle psicologiche un po' meno. Si cerca di rimuovere il problema perché si ha paura di essere messi in discussione. Per uscire dal disagio non serve cercare il colpevole, questo serve solo ad aggravarlo, non serve a recuperare, a evitare che la persona ricada nelle stesse situazioni o che faccia altri danni. Il primo passo da compiere è prendere coscienza che c'è qualcosa che non va, imparare a mettersi in discussione, senza fare tragedie, e rivolgersi, se è il caso, a persone competenti quale lo psicologo o lo psichiatra, il primo si occupa della parte sana, non si occupa della patologia in quanto tale ma del disturbo comportamentale, del disagio, il secondo si occupa della parte organica malata.
Nella famiglia ognuno ha un suo ruolo, di pari dignità.
Due persone che si amano e decidono di sposarsi, formano una coppia coniugale e avranno tanto maggior intesa quanto più saranno capaci di accogliere le imperfezioni reciproche, perché si accetteranno per quello che sono e non per l’ideale che si erano creati l'uno dell'altra.
La nascita di un figlio rende la coppia coniugale una coppia genitoriale. L’intuizione della donna e la razionalità dell’uomo dovrebbero unirsi, trovare un’intesa trasparente sulle scelte, sui valori da trasmettere ai figli. Se uno dei due o entrambi in una particolare tappa della loro vita non hanno risolto dei problemi, quando il figlio o la figlia arriverà a quell’età con quel problema, glielo riproporrà, glielo farà rivivere. Le crisi vanno affrontate e superate, se la crisi viene superata, si va avanti nel cammino di crescita, diversamente non si avanti. Non si può, poi, scaricare sugli altri le colpe delle nostre reazioni imperfette, finendo col dire frasi come : - Sono tutti cattivi; c’è poco da fidarsi; non ci sono più persone sagge, serie, o si farà cadere la colpa delle proprie "sventure", nei peggiori dei casi, a Dio.
Rispondere "sì "a Dio con l'educare i figli ai valori
cristiani
Intervento della dr. L. D'Aprile, consacrata OMVM
Educare non è facile e non ci sono ricette infallibili, sicure. Educare significa tirare fuori, sviluppare qualcosa che già c’è, allo stato potenziale, nell’educando. Per noi cristiani è portare a compimento il progetto che Dio Padre ha messo in ciascuno di noi, è sviluppare quei talenti ricevuti dal Signore, è aiutare a risvegliare nella coscienza il limite tra il bene e il male, tra il bello e il brutto, tra il giusto e l’ingiusto.
Per fare questo occorre stabilire una relazione interpersonale attraverso
strumenti quale l’ascolto attivo dell’altro, ossia la capacità di osservare
l’altro, mentre si esprime liberamente, per cogliere i suoi bisogni, le sue
attitudini. Dove non c’è libertà espressiva non c’è educazione. Altro strumento
necessario è l’accoglienza dell’altro cosi come è, perché è bello che c’è.
Spesso i figli sono partoriti solo nella carne ma non nella mente, perché la
loro nascita ha determinato delle rinunce non accettate. Esempio di maternità
accogliente è quella di Maria SS, che partorito Gesù prima nella mente e poi
nella carne. I metodi naturali educano proprio a questa maternità e paternità
responsabile. Ancora nell’educazione è importante saper criticare senza
togliere all’altro rispetto, amore e approvazione, senza ridicolizzare o
pretendere risultati immediati. Ognuno di noi ha i suoi tempi e ritmi di
apprendimento. Favoriamo critiche costruttive che esprimono la volontà di
risolvere il problema senza togliere la stima, la fiducia all’altro né con
parole né con gesti. L’educazione passa attraverso la sconfitta delle nostre
paure, che ci isolano e ci chiudono in un atteggiamento di continua difesa. Per
vincere le nostre paure dobbiamo dare un senso alla vita, dobbiamo dare una
risposta completa ai quesiti fondamentali dell’esistenza: non abbiamo deciso
noi di venire al mondo, la vita è un dono, ma siamo noi che decidiamo come
vivere, a quali norme aderire. Gesù stesso ci esorta a conoscere la verità,
perché la verità ci farà liberi. Se non cercheremo la verità sull'uomo, ci
aggrapperemo a pseudocertezze, quali il lavoro, i soldi, gli affetti, che
temeremo sempre, palesemente o inconsciamente, di perdere. Il migliore antidoto
alle paure viene da un attenta e seria educazione ai valori: a ciò che è
nobile, vero, buono, merita lode, come ci esorta S. Paolo. Possiamo veramente
educare solo se conosciamo la verità su noi stessi, se conosciamo i nostri
limiti, i nostri difetti, i sentimenti con cui filtriamo il senso della vita, i
nostri conflitti interiori, che originano nel passato ma che possono essere
superati, ( e Gesù ancora ci indica la via: attraverso la rinascita nello
Spirito Santo, cfr. colloquio col vecchio Nicodemo). Nell’educazione c’è chi deve
educare e chi deve essere educato, ciò implica un rapporto non paritario tra
genitori e figli e una comunione di intenti tra i genitori, pur nella diversità
dei ruoli. Non educa la madre, non educa il padre, educa la coppia, che deve
essere concorde su questioni fondamentali, nelle quali non ci si può permettere
il lusso di essere indipendenti o dubbiosi davanti ai figli. Il disaccordo
della coppia favorisce la logica dell’opportunismo: tra i due litiganti il
terzo gode. 
Il filo conduttore dell’educazione deve essere l’amore. Madri e padri autentici non si limitano a prendersi cura dei loro figli ma trasmettono amore e rispetto per la vita. Chiediamoci che cosa vogliamo trasmettere ai nostri figli se l’ansia per il futuro o la gioia per la vita. La comunicazione non è facile, e la dottoressa Tenuta ha fatto toccare con mano ai partecipanti quanto sia vero questo attraverso un divertente e semplicissimo esperimento. Spesso si ha una comunicazione egocentrica, dove ognuno parla di sé, si sente attaccato, minacciato ed offeso dall’altro e valuta ogni discorso con un unico metro di misura: il suo io. E' necessario acquisire l’arte di guardare la realtà anche con gli occhi dell’altro, decentrando il proprio io e scoprendo l’arricchente presenza degli altri nella propria vita.
In sintesi educhiamo col cuore, con l’intelligenza e la riflessione, con il principio dell’amorevolezza di San Giovanni Bosco, il quale invitava a vedere nei giovani ciò che c’è di positivo e su quello lavorare. Educhiamo alla responsabilità attraverso anche la pedagogia del no, dell’errore. Educhiamo al rispetto, dandolo per prima, i figli imparano più con l’esempio che con le parole. Educhiamo ai valori autentici nella direzione della libertà e della speranza e, soprattutto, preghiamo lo Spirito Santo prima e dopo ogni nostra azione educativa perché possa portare frutto a suo tempo.
P. Giuseppe nella omelia, tenuta durante la S. Messa, conclude la giornata invitando tutti noi a prendere possesso del proprio io,
arginando le due forze naturali che sono in noi, la forza dell’ira e la forza
del piacere, attraverso due argini, quello della ragione e quello della fede.
Chiediamoci se quello che stiamo facendo è secondo ragione, è secondo la fede
nel Signore, se non è così, abbandoniamo subito quello che si sta facendo.
Utilizzare anche quelli che sono gli apporti delle scienze nuove, per
migliorare la nostra qualità di vita, non solo per poter stare meglio, ma per
vivere meglio la nostra dignità in rapporto alle persone e alle cose. Con la
luce della ragione e la luce della fede, luce della mente e luce del cuore,
impariamo a vivere sempre alla presenza del Signore. P. Giuseppe ci invita a
preferire la supremazia dell’essere su quella dell’avere e dell’apparire, di
cercare ciò che è il vero sostegno per l’uomo, Cristo, Pietra viva, rigettata
dagli uomini ma preziosa davanti agli occhi di Dio. Ci invita ad esercitare
l’umiltà che ci fa aprire la braccia al cielo e ci fa gridare al Padre, che ci
ha creati e, in maniera più mirabile, ci ha ricreati in Cristo Gesù. Il cammino
della vita non è facile ma dandoci la mano, il coraggio l’un l’altro, pregando
gli uni per gli altri ce la faremo, vinceremo, ci ritroveremo tutti insieme nel
regno di Dio e gioiremo per quella luce di
grazia che il Signore
offre a noi dal suo cuore squarciato d’amore. Infine
P.Giuseppe invita tutti noi a trasmettere ai nostri figli, alle altre famiglie, il dono della fede, a diventare famiglie evangelizzatrici, famiglie positive, costruttive, creative, che dispensano anche agli altri quella gioia, quella speranza, quella carità che stringe i cuori e ne fa un cuor solo e un’anima sola.