Affinché gli orrori del passato
non si ripetano
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 Quante volte scrutando la realtà dei nostri giorni con gli occhi limpidi della fede, abbiamo scorto la straordinaria mano di Dio, signore della vita e della storia, dietro gli avvenimenti che abbiamo vissuto come pietre vive della Sua Chiesa! Non sempre ciò che accade si svela nella sua chiarezza alla nostra mente, “perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie” fa dire il Signore al profeta Isaia (Is. 55,8).

Quando nell’ottobre 1978 la cristianità accolse il nuovo pontefice, quel cardinale polacco che quasi nessuno conosceva, certo non avrebbe immaginato quale grande Padre donava Dio all’umanità con Giovanni Paolo II, che avrebbe energicamente condotto la chiesa nel terzo millennio. E quando ne abbiamo pianto la morte circa un anno fa, neppure immaginavamo chi avrebbe potuto sostituire una figura così amata e carismatica. Ma Dio ha tanto amato il mondo da mandare Suo figlio Gesù Cristo che non ci ha chiamati servi ma amici (Gv 15,15). Il papa è “il dolce Cristo in terra” ed è piaciuto ai divini disegni esaltare il vincolo dell’amicizia, scambio gratuito d’amore, di condivisione e di solidarietà umana in ogni circostanza della vita, tra Giovani Paolo II e il suo successore Benedetto XVI: un polacco “venuto da un paese lontano”  ed un tedesco “umile lavoratore nella vigna del Signore”, figli di due popoli che solo sessant’anni fa amici non erano. L’invasione della Polonia da parte dei tedeschi, la IIª guerra mondiale, le persecuzioni razziali ed il genocidio, sono stati motivo di profonde, immani sofferenze per milioni di persone.

Con indosso l’abito  bianco  nel cuore la consapevolezza di dover contribuire con i propri gesti e parole a risanare questa terribile ferita nella storia e nelle coscienza dei rispettivi popoli d’origine e nei confronti di tutta l’umanità, questi due grandi amici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno compiuto fra i primi gesti significativi dei rispettivi pontificati, un pellegrinaggio nel campo di concentramento di Auschwitz, uno dei luoghi in cui milioni di vite furono sacrificate all’assurdo principio della superiorità della razza ariana.

Giovanni Paolo II visitò da papa a sua terra natia per la prima volta tra la fine di maggio ed i primi di giugno 1979. Il 6 giugno era a Brzezinka, accompagnato da numerosi vescovi e cardinali tra cui l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, il card. J. Ratzinger. In quell’occasione aveva iniziato il discorso con le parole della

 

lettera di Giovanni: “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4) indicando in quel luogo di indicibile sofferenza e morte in cui l a dignità umana era stata così gravemente calpestata, il posto in cui era stata possibile “la vittoria per la fede e per l’amore” incarnata nel sacrificio eroico della vita del frate francescano polacco San Massimiliano Kolbe e della suora ebrea tedesca carmelitana Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein.

Il papa polacco aveva sottolineato di essere venuto per pregare, per inginocchiarsi “su questo Golgota del mondo contemporaneo” per passare in raccoglimento davanti alle lapidi che in tutte le lingue delle vittime ricordano quanto è accaduto. Per tutte una parola che “ renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria”. “Bisogna in questa occasione pensare con paura dove si trovano le frontiere dell’odio, le frontiere della distruzione dell’uomo, le frontiere della crudeltà”, aveva affermato il papa facendo poi tuonare forte la sua voce in difesa del diritto all’esistenza, alla dignità umana ed alla libertà di ogni essere umano. Egli intendeva non “accusare ma ricordare”, parlare a nome e a difesa dei diritti calpestati e violati di tante nazioni, animato da una grande sollecitudine per la verità e per l’uomo.

Sulle sue orme papa Benedetto XVI, in nome anche dell’amicizia che li legava e della sua presenza spirituale che lo accompagna come suo successore, ha voluto visitare la Polonia e Auschwitz dal 24 al 28 maggio. Per imparare di più da questo amico presto beato e santo, il papa tedesco è andato nei luoghi a lui cari in cui quella santità è nata e si è accresciuta ed ha parlato al popolo polacco tanto offeso ed umiliato dai nazisti, in italiano non in tedesco, ricevendo in cambio una calorosa accoglienza degna di un amico al quale si grida “ti vogliamo bene” nella sua lingua, “Wir liebe dich” in tedesco.

Benedetto XVI si è recato ad Auschwitz domenica 28 maggio scorso. E’ entrato da solo, in silenzio, con il seguito ad una certa distanza. Poi quando ha preso la parola, ha espresso tutti i suoi sentimenti di impotenza di fronte a quanto lì è drammaticamente accaduto ma al tempo stesso di perdono e riconciliazione; “In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio- un silenzio che è un interiore grido verso Dio: perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. Ed inchinandosi di fronte al ricordo di tante aberrazioni ha poi aggiunto che il “silenzio diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cose”. Il papa tedesco ha poi ricordato di essere stato in quel luogo nel 1979 in occasione della visita di Giovanni Paolo II e nel 1980 con una delegazione di vescovi tedeschi. Il senso di questa  visita è sempre lo stesso: “per implorare la grazia della riconciliazione da Dio innanzitutto che solo può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest’ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell’odio e sotto la violenza fomentato dall’odio”.  

 

Citando il salmo 44 ha continuato gli interrogativi incalzanti ad un Dio presumibilmente assente al grido di angoscia del suo popolo assalito dagli sciacalli ed avvolto dalle tenebre. Quel grido continuava ad elevarsi ancor oggi dovunque ci sono persone “che soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene”. L’uomo non può comprendere i segreti di Dio, né giudicare la sua volontà e la storia. Può solo continuare ad implorare aiuto e convertire il proprio cuore a non lasciarsi vincere dall’egoismo, dalla violenza e dall’opportunismo. Noi crediamo in “un Dio della ragione… che è una cosa sola con l’amore, col bene. Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini; affinché questa ragione, la ragione dell’amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace, prevalga sulle minacce costanti dell’irrazionalità e di una ragione falsa, staccata da Dio”

                                                     

                                                             a cura della Prof. Antonella P.

                                                           

                                                                          Fine I parte