Dalla lettera allo Spirito: la Genesi

(parte seconda).

 

 
 

 


Nel precedente bollettino, abbiamo cominciato ad analizzare le tematiche spirituali del primo libro della Bibbia, la Genesi. Abbiamo diviso il testo sacro in tre grandi sezioni (la creazione dell’Universo e dell’uomo, il peccato originale e la storia dei Patriarchi fino a Giuseppe) ed espresso qualche considerazione in relazione alla prima di esse. E’ arrivato allora il momento di leggere i capitoli dedicati al peccato originale ed alle sue immediate conseguenze storiche (Genesi, capp. 3-11). Adamo ed Eva, innanzitutto. I progenitori di tutto il genere umano sono i primi a sperimentare la tentazione e la debolezza della volontà umana.

 

La loro caduta, la loro disobbedienza al comando di Dio (nutrirsi di tutti i frutti del Giardino dell’Eden, tranne che di quelli “dell’albero che sta in mezzo al giardino”, Gen. 3,2) ci insegna che al centro del giardino della nostra identità di creature “a somiglianza di Dio” ci sono la volontà e la libertà di indirizzarla in una direzione piuttosto che in un’altra. Satana, ai primordi della storia umana, interviene proprio sulla volontà per pervertirla, per allontanarla dal disegno di Dio. E la sua tattica non è ancora cambiata: il Maligno non può prendere possesso della nostra volontà (altrimenti ci saremmo già tutti scannati da un pezzo), ma la tenta verso il male, lontano da Dio e dall’amicizia con Lui. La scelta, alla fin fine, spetta sempre a noi; in questo modo, resistere alla tentazione significa restare coerenti con la scelta del bene. Dunque, il peccato come possibilità si attua, purtroppo, con Adamo ed Eva, e diventa il comune retaggio che pesa sulla nostra libertà. Il Male entra nella storia in questo modo, e certamente non per colpa di Eva che coglie il frutto: lei è ognuno di noi quando scegliamo deliberatamente di opporci alla volontà di Dio. La prima vittima di un tale stato di  cose è il giusto Abele, ucciso dal fratello Caino (Gen.capp. 4 e 5): in questo caso il Male alligna nell’ invidia di Caino verso il fratello, i cui doni (i “primogeniti del gregge”) furono accetti a Dio. La tragica storia dei figli di Adamo ed Eva ci insegna che dobbiamo fare attenzione al peccato “accovacciato” (Gen. 4,7) ai piedi dei nostri istinti, che vanno necessariamente “dominati” se non vogliano che offrano al Nemico un contributo decisivo per la sua opera proprio all’interno del nostro cuore. Al delitto di Caino seguono altri due momenti di peccato e di degradazione del genere umano: il diluvio universale e la costruzione della Torre di Babele.

 

Si tratta di due peccati collettivi, che ci mostrano altre subdole dinamiche attraverso le quali Satana continua a tentare al male la creatura prediletta da Dio: la corruzione nel caso del diluvio e la superbia per la Torre di Babele. In entrambi i casi il male si offre come peste contagiosa, capace di infettare intere comunità, tanto da disgustare il Signore (“il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo”, dice il Testo sacro a proposito della corruzione dell’umanità che precede la vocazione del giusto Noè ed il diluvio universale). Di fronte a questa autentica cascata di male, che continua a pervertire le dinamiche della storia, sia individuale che collettiva, la risposta di Dio è pronta: Egli non si stanca di chiamare l’uomo, di invitarlo alla conversione, a seguirlo in un rapporto di intimità che scava nelle dinamiche più profonde del cuore, dove si annidano gli “istinti” (si pensi al caso di Caino) capaci di farci uscire di carreggiata, lontano dal Creatore. E così, subito dopo la triste sorte della Torre di Babele e degli uomini che volevano, grazie ad essa, “farsi un nome”, Dio, che parla nel silenzio, si rivolge ad Abramo e gli propone

un progetto di vita che fa della fede e dell’obbedienza l’arma vincente contro le seduzioni del male. Non per nulla Abramo, come vedremo la prossima volta, è figura di Gesù, che grazie all’obbedienza  al Padre, fino alla morte, e  “alla morte di Croce”, ha riscattato definitivamente l’umanità dalla inevitabile sconfitta contro l’istinto al peccato.

 

Andrea Narduzzi