La letteratura
all'Opera
 

 

 

 

 

 


 PlatoneProseguiamo nel nostro percorso attraverso i grandi temi della riflessione letteraria ed artistica della cultura occidentale e parliamo della bellezza. Oggi, soprattutto tra i giovani, che in questo fanno eco alla mentalità comune, si suole ricorrere spesso all’adagio “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. I Greci, padri di tanti paradigmi definitivi del nostro modo di vedere la realtà, non la pensavano così. Per loro la bellezza non è un concetto generico, astratto o legato alla sensibilità del momento o della persona: è, al contrario, un aspetto fondamentale della verità; anzi, é la stessa verità. Bellissime e veramente ispirate, a tal proposito, le osservazioni di Platone.

 

La letteratura
all'OperaTutta la sua speculazione filosofica ruota, infatti, attorno all’idea di Bene e di Vero, fondamento non solo della riflessione razionale dell’uomo e termine ultimo della saggezza, ma imprescindibile punto di riferimento anche per la gestione della politeia, della res publica, dello Stato. Il vero legislatore, il governante degno di questo incarico che lo nobilita, è chi ha contemplato la Verità del Bene ed è in grado di imitarne le rigorose esigenze per la felicità dell’uomo. Ebbene, quando Platone è costretto, dal ferrato dipanarsi del suo pensiero, ad indicare la cifra di questa idea di Bene, di Vero, di Buono nella conoscenza della quale consiste la massima fonte della saggezza non riesce a trovare nulla di meglio, per qualificarla, che la categoria della bellezza. La bellezza diventa così la porta di accesso al mistero della verità, il “vasel leggiero e presto molto” che, dal gran mare della realtà visibile, conduce all’oceano sconfinato della “seconda navigazione”, come Platone stesso chiama la sua scoperta della Giacomo Leopardimetafisica. Tanti secoli dopo un altro grande cultore della Bellezza, Giacomo Leopardi, dirà che gli è “dolce naufragar” in questo regno dell’infinito, come recita il titolo del celeberrimo componimento da cui ho tratto la citazione. Tra il bello platonico e quello romantico leopardiano, pur così diversi ma accomunati dall’idea fondamentale di una verità che profuma di bellezza, ecco fiorire ai nostri sguardi Fiorenza, la Firenze eletta maestra di arte dei tempi dei Medici. Qui, nella corte del quartiere di S. Lorenzo, Lorenzo detto il Magnifico cantava, in occasione delle feste di carnevale del 1490,

 

Quant’è bella giovinezza

Che si fugge tuttavia.

Chi vuol essere lieto, sia

Del doman non c’è certezza

 

Non si tratta soltanto di un invito a godere le sane gioie della vita, come già aveva fatto, a suo tempo, Qoélet. Qui siamo dinanzi, prima di tutto, ad un manifesto programmatico, che vede nel binomio bellezza-giovinezza la chiave di lettura dell’esistenza umana: vita e bellezza sono i frutti da cogliere quando la giovinezza si dischiude come un effimero fiore di maggio. E sempre la giovinezza resterà la fase della vita più sensibile non solo alla vita, ma alla bellezza della vita e dei valori su cui essa è fondata.

Il Novecento ha segnato una svolta anche  nella rielaborazione del concetto di bellezza, e non poteva essere altrimenti, vista la quantità di bruttezza (dagli stermini di massa ai mostri architettonici delle periferie delle immense megalopoli del mondo contemporaneo) con la quale si è dovuto confrontare. Il risultato finale è stata una prevedibile scissione del nesso verità-bellezza; e la verità ha smesso di essere bella nel momento   class=stesso in cui non è stata più creduta. Abbiamo lasciato in eredità ai nostri figli i valori più santi e puri violati nella voluta negazione della dignità dell’uomo; il relativismo spesso blasfemo dei nostri tempi non è nato dal nulla, come una pianta carnivora che spunta in una notte, ma è germinato sul terreno della violenza, dell’egoismo esasperato, dello sfruttamento, della cattiveria pianificata ed elevata al rango di salvezza dell’umanità. Voglia il Signore che si sia ancora in tempo per rimediare a tanto male.

 

La strada da percorrere resta quella segnata da S. Paolo che, sulla scorta di un’autentica incarnazione del messaggio platonico, ha afferrato la bellezza delle verità celesti e morali e le ha focalizzate sul volto di Gesù, che ha voluto essere un uomo per parlare ad altri uomini da pari a pari, per così dire. Cosa c’è di più bello di un Dio che per amore lascia il trono della sua immutabile luce per incontrarsi a faccia a faccia con l’umanità? E allora, con gli occhi fissi a questa verità nuovamente bella, possiamo anche noi profetizzare con Dostojeskij che “la bellezza salverà il mondo”.

                                                                        Prof.  Andrea Narduzzi